(Tar Trentino Alto Adige, Trento, 25 ottobre 2013, n. 351)
«[La società ricorrente] ha impugnato il provvedimento con il quale il Consiglio comunale […] ha approvato in terza adozione la variante al piano regolatore comunale […], contestando principalmente la mancata ripubblicazione della variante a seguito dell’accoglimento da parte del Consiglio comunale di emendamenti presentati in sede assembleare e riferiti al ridimensionamento perimetrale ed edificatorio dell’area di perequazione […] nella quale è compreso il lotto di sua proprietà.
Tale doglianza è fondata e, investendo un essenziale profilo procedurale, assorbente di tutti gli altri motivi.
4a. Nella fattispecie è accaduto che, in danno all’attesa che coltivava la società ricorrente, la previsione contenuta nel testo della prima e della seconda deliberazione di adozione della variante è stata modificata in occasione della terza rilettura da parte del Consiglio comunale, che ha accolto un emendamento di un Consigliere e un sub-emendamento della Giunta, sottoscritto dal Sindaco, i quali hanno contratto lo ius aedificandi del comparto perequativo che, al contempo, è stato ridotto nella sua estensione poiché alcuni lotti sono stati estrapolati e destinati a verde pubblico esistente di progetto.
Ebbene, in mancanza della ripubblicazione della novellata variante, la ricorrente lamenta, giustamente, che non gli è stata data la possibilità di partecipare al procedimento amministrativo e di esercitare la facoltà di presentare, sia pure in forma collaborativa, le sue osservazioni al riguardo e/o di controdedurre alle diverse esigenze pianificatorie sorte, da ultimo, in sede di Consiglio comunale.
4b. È quindi assodato che si è concretizzata la violazione del disposto dei commi 5 e 5 bis dell’art. 31 della l.p. 4 marzo 2008, n. 1, concernente la pianificazione urbanistica, che, nel testo vigente ratione temporis, testualmente prevedevano:
– che, se in sede di definitiva adozione, trovano accoglimento osservazioni che comportano l’introduzione di modifiche rispetto alle previsioni del piano adottato, il Comune deve disporre una nuova pubblicazione, reiterando la procedura, per la presentazione di osservazioni limitatamente alle parti oggetto di modifica; in tal caso i termini procedurali sono ridotti a metà e le variazioni apportate in accoglimento delle nuove osservazioni non sono soggette né a pubblicazione né a osservazioni ulteriori;
– che non sussiste obbligo di ripubblicazione quando le modifiche apportate sono obbligatorie perché richieste da disposizioni normative o da altri strumenti di pianificazione sovraordinati, oppure se le modifiche non comportano una rielaborazione complessivamente innovativa del piano, o comunque un mutamento delle sue caratteristiche essenziali, o della sua impostazione programmatica;
– che, all’opposto, sono “in ogni caso oggetto di nuova pubblicazione le modificazioni introdotte in accoglimento di osservazioni di soggetti diversi dai titolari di diritti reali sull’area interessata dalla modifica, salvo che l’amministrazione interessata non acquisisca le controdeduzioni di questi ultimi soggetti prima dell’adozione definitiva del piano”.
4c. Tale disciplina ha recepito l’indirizzo giurisprudenziale, fatto proprio anche da questo Tribunale, secondo il quale quando l’Amministrazione provvede a modificare il piano adottato, accogliendo osservazioni che incidono sulla proprietà di terzi, “è tenuta a fornire idonea comunicazione ai soggetti proprietari dell’area incisa in maniera diretta dalla modificazione, mediante ripubblicazione del PRG nella parte risultata modificata o a darne quanto meno comunicazione agli interessati, per consentire loro di presentare memorie e osservazioni di merito” (cfr. T.R.G.A. Trento, 24.7.2008, n. 191; 28.2.2008, n. 53).
5. La modificazione alla previsione urbanistica apportata all’area di interesse della ricorrente da parte del Consiglio comunale in sede di terza adozione non è stata introdotta per adeguare la variante a strumenti di pianificazione sovraordinati né essa, indubitabilmente, ha comportato un mutamento delle caratteristiche essenziali della variante. All’opposto, essa è frutto di una tipica scelta discrezionale in materia di pianificazione [la lettura degli emendamenti ne è conferma, posto che in essi si discute di dove fosse più consono insediare la nuova edificazione rispetto alla superficie da destinare a verde pubblico], per cui, provenendo da un soggetto diverso dai proprietari delle aree interessate, “in ogni caso”, e comunque “prima dell’adozione definitiva”, doveva essere o oggetto di una nuova pubblicazione, oppure inviata agli interessati per acquisire le loro controdeduzioni sul merito.
6a. A questo proposito occorre disattendere fermamente la lettura della norma di cui al comma 5 bis in esame come proposta dalla difesa dell’Amministrazione, secondo la quale essa troverebbe applicazione solo laddove le variazioni scaturiscano dall’accoglimento di osservazioni proposte sì da soggetti diversi dai titolari di diritti reali afferenti l’area interessata ma “comunque in posizione di terzietà rispetto all’organo titolare della potestà urbanistica, ossia il Consiglio comunale”. In base a tale prospettazione, altrimenti opinando, si “priverebbero i membri del Civico Consesso di ogni iniziativa al riguardo trasformandoli in meri e supini deliberatori di pacchetti volitivi preconfezionati aliunde” (così, testuale nella memoria del 19.9.2013, pag. 7).
6b. Al riguardo, il Collegio rammenta che un piano urbanistico, o una sua variante, sono provvedimenti amministrativi che incidono direttamente nella sfera giuridica dei destinatari e che la disciplina legislativa provinciale sull’adozione e sull’approvazione degli strumenti pianificatori ha pertanto previsto la puntuale procedimentalizzazione di un iter che, complessivamente, garantisce la partecipazione dei destinatari alle scelte urbanistiche, riservando comunque all’Assemblea elettiva i compiti di indirizzo e di impostazione strategica del nuovo strumento e, quindi, di controllo politico, perché essa rappresenta gli interessi generali della comunità. Anche l’Assemblea elettiva è tenuta al rispetto delle regole generali dell’azione amministrativa che, per l’appunto, sono state procedimentalizzate e che, in generale, pretendono un’adeguata istruttoria e la garanzia delle posizioni giuridiche dei privati, oltre che il rispetto della logicità del complessivo iter e anche un’idonea motivazione atta a suffragare le scelte finali.
Ne consegue che la tesi dell’Amministrazione, in base alla quale il Consiglio comunale, anche in sede di definitiva delibazione, potrebbe apportare qualsiasi tipo di modificazione allo strumento adottando, quale attribuzione rientrante nelle sue prerogative istituzionali, è dunque condivisibile solo in linea teorica.
Nel concreto, poiché le modalità di adozione dello strumento urbanistico non sono libere ma precisamente proceduralizzate e assoggettate al principio della partecipazione amministrativa ( quale corollario del canone di buon andamento codificato dall’art. 97 Cost. ), l’introduzione da ultimo di modifiche non obbligatorie che incidono su titolari di diritti reali richiede l’acquisizione delle controdeduzione degli interessati e, successivamente, un’adeguata motivazione sulle diverse valutazioni sopravvenute.
In altri termini, se si dovesse avallare il ragionamento esposto dall’Amministrazione – in base al quale i consiglieri comunali, gli assessori e il sindaco potrebbero, in conclusione di procedimento pianificatorio, introdurre inopinatamente e illimitatamente modifiche alla variante adottanda – ciò significherebbe vanificare del tutto i diritti di partecipazione degli interessati al procedimento, così violandosi al contempo i principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento, in cui è ricompreso anche quello di buon governo del territorio.
6c. In tal senso, si ricorda che il rispetto del diritto di partecipazione è espressamente codificato nelle finalità della legge provinciale, laddove l’urbanistica è stata definita il sistema per “qualificare e valorizzare le risorse territoriali e il paesaggio provinciali per migliorare la qualità della vita, dell’ambiente e degli insediamenti”, perseguito – per autorappresentazione ed autodeterminazione – dalla comunità attraverso le decisioni dei propri organi elettivi, in primis quelli comunali, chiamati infatti a “formare gli strumenti di pianificazione territoriale nel rispetto del principio della sussidiarietà responsabile e del decentramento delle scelte pianificatorie” e, prima ancora, attraverso la “partecipazione dei cittadini” ai procedimenti di elaborazione e approvazione degli strumenti pianificatori (cfr. art. 2, comma 1, lett. a), f) e h), della cit. l.p. n. 1 del 2008).
7. Per le viste considerazioni il ricorso va conclusivamente accolto, con conseguente annullamento, in parte qua, delle impugnate deliberazioni».
Daniele Majori – Avvocato Amministrativista – Roma
Fonte:www.giustizia-amministrativa.it
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