(Tar Lazio, Roma, sez. I, 20 agosto 2014, n. 9195)
«[A]i sensi dell’art. 23 della legge 241/1990, il diritto di accesso nei confronti delle Autorità di garanzia e di vigilanza si esercita nell’ambito dei rispettivi ordinamenti, secondo quanto previsto dall’art. 24.
L’art. 13 del d.p.r. 217/1998 (regolamento recante norme in materia di procedure istruttorie di competenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato), prevede che:
– il diritto di accesso ai documenti formati o stabilmente detenuti dall’Autorità nei procedimenti concernenti intese, abusi di posizione dominante ed operazioni di concentrazione è riconosciuto nel corso dell’istruttoria dei procedimenti stessi ai soggetti direttamente interessati di cui all’art. 7, comma 1 (comma 1);
– qualora i documenti di cui al comma 1 contengano informazioni riservate di carattere personale, commerciale, industriale e finanziario, relative a persone ed imprese coinvolte nei procedimenti, il diritto di accesso è consentito, in tutto o in parte, nei limiti in cui sia necessario per assicurare il contraddittorio (comma 2);
– i documenti che contengono segreti commerciali sono sottratti all’accesso. Qualora essi forniscano elementi di prova di un’infrazione o elementi essenziali per la difesa di un’impresa, gli uffici ne consentono l’accesso, limitatamente a tali elementi (comma 3);
– nel consentire l’accesso nei casi di cui ai commi 2 e 3 e nel rispetto dei criteri ivi contenuti, gli uffici tengono conto, adottando tutti i necessari accorgimenti, dell’interesse delle persone e delle imprese a che le informazioni riservate o i segreti commerciali non vengano divulgati (comma 4).
L’art. 12 dello stesso decreto stabilisce che le informazioni raccolte in applicazione della legge e del regolamento possono essere utilizzate soltanto per lo scopo per il quale sono state richieste e, ai sensi dell’art. 14, comma 3, della legge, sono tutelate dal segreto d’ufficio anche nei riguardi delle pubbliche amministrazioni, fatti salvi gli obblighi di denuncia di cui all’art. 331 c.p.p. e quelli di collaborazione con le istituzioni delle Comunità europee di cui agli artt. 1, comma 2, e 10, comma 4, della legge 287/1990.
L’art. 13 del regolamento prevede, quindi, la possibilità dell’accesso c.d. procedimentale, di cui agli artt. 7 e seguenti della legge 241/1990, mentre nulla stabilisce in ordine all’accesso c.d. informativo, vale a dire successivo alla conclusione del procedimento, al quale si riferiscono gli artt. 22 e seguenti della legge 241/1990.
Alla luce delle predette norme, la Sezione, nell’osservare come l’art. 23 della legge 241/1990 richiami il diritto di accesso di cui all’art. 22, ha escluso che per le Autorità di garanzia e di vigilanza non possa essere esercitato alcun accesso ai documenti una volta terminato il procedimento, dovendo, per l’effetto, trovare applicazione, con riferimento all’accesso c.d. informativo, i principi generali dettati dalla legge (e, segnatamente, il principio generale di cui all’art. 24, la cui applicazione, peraltro, è espressamente prevista dal richiamato art. 23).
4. La conclusione sopra raggiunta, e qui da ribadire convintamente, ovvero che trova piena applicazione nei confronti dell’Autorità il comma 7 dell’art. 24 della l. n. 241 del 1990 (“Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”), non si traduce però nel riconoscimento della correttezza della tesi di parte ricorrente, secondo cui il gravato diniego sarebbe illegittimo perché applicherebbe il detto art. 13 del D.P.R. 217/1998, ovvero le disposizioni speciali che regolerebbero esclusivamente l’accesso nel corso di un procedimento pendente innanzi all’Autorità, e le correlate limitazioni, anziché gli artt. 22 e ss. della l. 241/1990, ai sensi dei quali l’istanza è stata proposta.
5. Va rilevato sul punto che, ai sensi dell’art. 22, comma 1, della l. 241/1990, si intende, per accesso informativo, il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi, e per interessati, tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.
Si tratta, invero, dell’accesso consentito nell’esplicazione delle facoltà previste a favore dei privati nell’ottica di favorire la loro più ampia partecipazione all’operato della pubblica amministrazione, in guisa da assicurare l’imparzialità e la trasparenza dell’attività amministrativa, quali imprescindibili canoni del buon andamento ex art. 97 Cost., come chiarisce il comma 2 della stessa disposizione.
Tale accesso, pertanto, può anche prescindere dall’esistenza di un procedimento in corso, in quanto si rivolge avverso documenti acquisiti in qualsiasi tempo o comunque stabilmente detenuti dall’amministrazione, e a tutela dell’interesse non del soggetto parte del procedimento, bensì di chiunque possa dimostrare che gli atti oggetto dell’accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, ciò che sostanzia infatti la legittimazione all’accesso informativo
Tant’è che, pur nella generale comunanza dei relativi principi, chi è parte del procedimento trova aliunde le regole del proprio accesso agli atti (art. 7 e ss., l. 241/1990).
6. Alla luce delle predette coordinate normative, l’accesso esercitato dalla società ricorrente, che è stata parte nel procedimento di cui in narrativa, non presenta le caratteristiche proprie dell’accesso informativo sol perché il procedimento si è concluso.
Una diversa conclusione si porrebbe come del tutto irrazionale e illogica, in quanto, ai fini della delimitazione della documentazione accessibile e dell’individuazione della natura e dei caratteri del relativo procedimento, valorizzerebbe esclusivamente un dato temporale (l’avvenuta chiusura del procedimento), ovvero la mera scelta del privato nell’indicare la tipologia di accesso, rendendo, al contempo, recessive tutte le altre caratteristiche che differenziano l’accesso informativo dall’accesso procedimentale, e che presentano connotazioni sostanziali.
Ben ha fatto, pertanto, l’Autorità ad applicare nei confronti dell’istanza di accesso avanzata dalla società ricorrente per l’accesso agli atti del procedimento che si è concluso con il provvedimento 14 giugno 2006, n. 15604, che ha accertato a carico di una serie di imprese, tra cui la stessa società, l’esistenza di un’intesa contraria all’art. 81 del Trattato UE, oggi art. 101 TFUE, l’art. 13 del regolamento di cui al D.P.R. 217/1998.
Del resto, come pure rimarcato dall’Autorità, la Sezione, sulla scorta delle osservazioni, sopra riportate, che fanno emergere come venga in rilievo, per un verso, documentazione contenente segreti commerciali protetti dall’ordinamento di settore anche in sede di accesso, per altro verso, la responsabilità dell’Autorità nella loro diffusione, ha già osservato come l’ampiezza dell’accesso agli atti dell’Autorità non possa essere differente nelle ipotesi di cui all’art. 24, comma 7, l. 241 del 1990, e dell’art. 13, D.P.R. 217 del 1998, salvo offrire una lettura palesemente irrazionale dell’intero sistema (Tar Lazio, I, n. 1344 del 2012, cit.).
7. Resta da definire se, come lamentato dalla parte ricorrente, l’opposto diniego comprometta la conoscenza di atti essenziali per la difesa della società (art. 13, comma 3, d.p.r. 217/1998).
Tale eventualità non è rinvenibile alla luce del ricorso, nell’ambito del quale parte ricorrente si è limitata a invocare genericamente il proprio diritto di difesa, per il cui compiuto esercizio ritiene propedeutica la conoscenza di tutti gli atti del fascicolo istruttorio del procedimento sanzionatorio più volte menzionato […], senza fornire argomentazioni che possano evidenziare la necessità di un più ampio accesso agli atti rispetto a quello già ottenuto in pendenza del procedimento, quando è stata disposta l’ostensione di tutti gli atti “non riservati per le parti”.
Né ad altre conclusioni si giunge analizzando le ulteriori argomentazioni offerte da parte ricorrente, vertenti sulla preminenza del diritto di difesa e sul decorso di un rilevante lasso temporale che farebbe venir meno l’interesse alla riservatezza.
Invero, come più volte sottolineato dalla Sezione, la preminenza del diritto di difesa rispetto al diritto alla riservatezza non assume il carattere assoluto che parte ricorrente sembra volerle attribuire: la stessa parte ricorrente riconosce, del resto, che le disposizioni normative sopra citate dispongono un equo bilanciamento di opposti interessi – parimenti meritevoli di tutela – conferendo all’Autorità il potere di operare il menzionato bilanciamento, sia nelle ipotesi di accesso procedimentale sia in quelle di accesso informativo. In termini non difformi si esprime la giurisprudenza amministrativa che ha sempre riconosciuto il dovere dell’Autorità di procedere alla valutazione comparativa delle opposte esigenze, escludendo una prevalenza illimitata del diritto di accesso (Tar Lazio, I, 13 gennaio 2003, n. 80).
Appaiono pertanto privi di rilievo i precedenti giurisprudenziali indicati da parte ricorrente che non ineriscono lo specifico oggetto dell’accesso agli atti di un’Autorità di garanzia e vigilanza (in particolare la decisione C. Stato, A.P. 4 febbraio 1997, n. 5, avente a oggetto il diniego, opposto da una Regione, all’accesso agli atti formati dall’Usl di appartenenza dell’istante).
In uno alla difesa erariale, si può poi aggiungere –ad abundantiam – che il diritto di difesa non viene in alcun modo leso dal mancato accesso agli atti del procedimento amministrativo; ciò in considerazione della possibilità, riconosciuta all’odierna ricorrente dall’art. 210 c.p.c., di proporre istanza – nel procedimento civile nel quale è convenuta – al giudice istruttore, per l’esibizione della documentazione necessaria per la risoluzione della controversia (ferma restando la possibilità di acquisizione della medesima ex officio, ai sensi dell’art. 213 c.p.c.).
La soluzione, oltre a essere pacificamente avallata dalla giurisprudenza amministrativa (Tar Lazio, I, 2 novembre 2009, n. 10615; n. 1344 del 2012, cit.), risulta pienamente compatibile, de iure condendo, con la regolamentazione generale della materia dell’acquisizione diretta da parte del giudice del risarcimento del danno derivante dalla violazione delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea, recata, nell’ottica del “private enforcement”, dalla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 giugno 2013 COM(2013) 404 (artt. 5 e ss.).
In ultimo si osserva come il decorso di un determinato lasso temporale tra la formazione (e l’acquisizione del documento) e l’istanza d’accesso non costituisca una ragione sufficiente per l’ostensione dei documenti.
Sul punto, la Sezione ha già avuto modo di indicare che il trascorrere di una periodo di tempo prolungato non può, di per sé, essere la componente determinante per la caducazione della riservatezza di un documento. Differentemente opinandosi il diritto di riservatezza verrebbe rimesso a un elemento astratto e generico, di impossibile predeterminazione in quanto subordinato a percezioni soggettive. Ciò importa la necessaria allegazione di una combinazione di fattori specifici, tali da far presumere la cessazione delle preesistenti esigenze di riservatezza, senza che quindi il decorso del tempo possa, da solo, acclarare siffatta evenienza (Tar Lazio, I, n. 1344 del 2012, cit.).
Nel ricorso in esame parte ricorrente non indica alcuno dei suddetti fattori, limitandosi a un improprio richiamo alle Linee direttrici della Commissione europea per l’applicazione dell’art. 101 TFUE, che non rileva in alcun modo nell’odierno contenzioso, posto che l’art. 101 TFUE pone un divieto di intese anticoncorrenziali e le ridette linee guida specificano le fattispecie non costituenti illecito.
Nel caso in esame, invece, il riserbo in ordine alla divulgazione di informazioni commerciali si giustifica non già in ragione della necessità di evitare collusioni tra imprese ai danni dei concorrenti, bensì nell’impedire di trarre indebiti vantaggi dalla disponibilità di informazioni commerciali riservate sull’attività dei concorrenti.
In altre parole, la storicità del dato, a fini antitrust, può rendere lecito lo scambio di informazioni tra concorrenti in quanto irrilevante (ossia innocuo) ai fini dell’integrazione della fattispecie dell’intesa, laddove, invece, a fini cognitivi, non consente di escludere di per se i profili di riservatezza delle informazioni cui consegue il divieto di divulgazione ai concorrenti, in ragione del possibile loro sfruttamento commerciale».
Daniele Majori – Avvocato Amministrativista in Roma
Fonte:www.giustizia-amministrativa.it
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