Processo amministrativo, Risarcimento del danno

L’onere di impugnazione – al cui mancato assolvimento si riconnette ora l’infondatezza nel merito della domanda risarcitoria – va valutato in concreto, nel senso che tale onere sussiste soltanto allorché si accerti che, effettivamente, l’impugnazione dell’atto lesivo avrebbe potuto concretamente giovare al ricorrente.

(Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana, 20 febbraio 2013, n. 248)

«Ritiene il Collegio che il primo giudice – che pure ha ben ricostruito e illustrato il sistema nel cui ambito si collocava prima del codice (e anche dopo) l’azione risarcitoria c.d. autonoma – abbia però erroneamente applicato i principi esposti al caso di specie.
Esclusa la sussistenza della c.d. pregiudiziale amministrativa – alla stregua della cit. giurisprudenza; ma anche del sopravvenuto art. 30 del codice del processo amministrativo che, sebbene inapplicabile ratione temporis alla vicenda in esame, ha indubbiamente fornito una nuova prospettiva interpretativa sistematica generale in cui ricollocare la responsabilità della pubbica amministrazione per i danni cagionati dall’attività amministrativa illegittima – il principio generale espresso dall’art. 1227 del codice civile va senz’altro esteso anche al rilievo delle condotte omissive, comprensive di quelle consistite nel mancato esperimento degli strumenti di tutela previsti dalla legge.
Se, però, esasperando la necessarietà dell’impugnazione a ogni atto che sia stato emanato dall’amministrazione – al di là della stessa reale portata del cit. art. 30 che, sebbene sopravvenuto, ha sostenuto, anche de preterito, tutte le reinterpretazioni del sistema della responasabilità civile pubblica dell’ultimo biennio – si postulasse l’equazione «omessa impugnazione = esclusione del risarcimento», quella stessa pregiudizialità che si è formalmente ripudiata come istituto “di stretto rito” (sentenza appellata, pag. 6, riga 15) verrebbe in effetti reintrodotta tal quale, come istituto sostanziale: col risultato che tutti gli stessi ricorsi che secondo i fautori della c.d. pregiudiziale amministrativa avrebbero dovuto dichiararsi inammissibili, sarebbero ora semplicemente respinti nel merito (nei fatti, per la stessa ragione).
Non è questa, per il Collegio, la corretta esegesi del sistema.
Già prima del codice si contrapponevano due opposte linee di pensiero, presenti in entrambe le giurisdizioni: una, prevalente nella giurisdizione amministrativa, che sosteneva la pregiudizialità pura (con la surriferita equazione tra omessa impugnazione dell’atto e inammissibilità della domanda risarcitoria); l’altra, prevalente nella giurisdizione ordinaria, tendente a sganciare del tutto la risarcibilità dall’impugnazione dell’atto lesivo e a consentire il risarcimento anche a fronte della perdurante (e ormai inoppugnabile) efficacia di esso.
L’art. 30 del c.p.a. ha tracciato – saggiamente, si vorrebbe dire – un’esegesi intermedia; che, proprio in quanto interpretativa, ben si presta ad essere applicata anche alle vicende anteriori alla sua vigenza.
Infatti, il principio fondamentale rilevato dall’art. 30 è che, in presenza d’un atto lesivo illegittimo, il soggetto danneggiato è onerato della relativa impugnazione; ciò secondo canoni di correttezza e di buona fede, ma anche perché il principio di coerenza dell’ordinamento non tollera che un atto giuridico (ancor prima che amministrativo) sia, da un lato, definitivamente efficace e inoppugnabile, e dall’altro venga assunto a base di una fattispecie illecita, senza però poter essere rimosso dall’ordinamento giuridico (e potendo continuare a far danni).
Nondimeno, detto onere di impugnazione – al cui mancato assolvimento si riconnette non più l’inammissibilità della domanda risarcitoria, bensì la sua infondatezza nel merito, in applicazione del principio di concorrente autoresponsabilità del creditore – va valutato in ciascun caso in concreto: nel senso che tale onere sussiste soltanto allorché si accerti che, effettivamente, l’impugnazione dell’atto lesivo avrebbe potuto concretamente giovare al ricorrente, e non invece ove sia evidente che il gravame non avrebbe in alcun modo potuto elidere, né ridurre, il danno cagionato dall’atto amministrativo illegittimo.
3. – Proprio questa pare al Collegio la situazione in cui versava l’odierno appellante, rispetto agli atti che secondo la sentenza gravata egli avrebbe dovuto impugnare per conservare l’azione risarcitoria
».

Daniele Majori – Avvocato Amministrativista

Fonte:www.giustizia-amministrativa.it

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