Edilizia e urbanistica

Ristrutturazione edilizia (ordinaria e “pesante”) e rispetto delle distanze: la modifica della sagoma, dell’altezza, dei prospetti e del volume della originaria costruzione non consentono di qualificare l’intervento come ristrutturazione edilizia ordinaria, prevista dall’articolo 3, comma 1, lettera d) del d.P.R. n. 380 del 2001, rientrando invece lo stesso nella diversa categoria della ristrutturazione edilizia “pesante”, contemplata dall’articolo 10 del testo unico dell’edilizia; inoltre, le parti connotate da innegabili profili di novità rispetto alla preesistenza soggiacciono al limite delle distanze e non possono essere assorbiti dalla regola della mera osservanza delle distanze preesistenti applicabile alla porzione di edificio originaria.

(Consiglio di Stato, sez. I, 15 febbraio 2022, n. 378)

«Il Collegio ritiene, ai fini della decisione, di dover previamente chiarire l’esatta qualificazione giuridica dell’intervento oggetto della SCIA presentata dal ricorrente.
Nella relazione tecnica ad essa allegata si legge quanto segue: “Trattasi di progetto per ampliamento di un edificio di civile abitazione…inserito in zona ‘NAF-art. 21 NTA del PdR’ con ammesso un incremento volumetrico pari al 20% dell’esistente. Nel rispetto delle norme di cui sopra, il progetto prevede: a) l’ampliamento dell’attuale lavanderia (+ mq. 6, 12- +mc.22, 93) con formazione di tetto piano; b) la modifica delle aperture di facciata; c) la rimozione della scala esterna. L’intervento non prevede aumento di superficie coperta in quanto l’intervento è previsto all’interno del perimetro di ingombro del fabbricato…”.
I grafici allegati al progetto (“Dati di progetto”), in uno alla documentazione fotografica in atti, evidenziano che l’originario locale deposito viene ampliato nella sua consistenza in senso orizzontale al lato opposto rispetto alla proprietà della controinteressata e viene poi ampliato anche in altezza per tutto il suo nuovo ingombro.
Vi è, invero, che la originaria altezza media, pari a mt. 2, 38, viene portata a mt. 2, 90 (parte ricorrente, nella propria memoria del 5-6-2021, sostiene in proposito che l’intervento è stato realizzato con un’altezza media di mt. 2, 70 e la presenza in concreto di un’altezza media inferiore a quella di progetto, ma comunque superiore a quella originaria, sembra trovare conferma nella relazione di sopralluogo dell’UTC del Comune del 30-9-2020, laddove, dopo aver chiarito che “si evidenzia la presenza di cassettature che non permettono di rilevare la quota di impostazione del fabbricato e lo spessore del solaio” si precisa che “le quote in oggetto sono presumibilmente inferiori rispetto a quelle riportate negli elaborati grafici di progetto allegati alla SCIA”).
Inoltre, la copertura originaria in eternit, a conformazione inclinata, viene sostituita da un tetto in c.a. piano e sulla parete prospiciente la strada viene prevista l’apertura di due finestre (dalla documentazione fotografica ne risulta realizzata solo una); evidenziandosi, altresì, che due delle originarie pareti del deposito risultano essere state demolite e ricostruite, mentre rimangono non modificate la parete a confine con la proprietà della controinteressata e quella adiacente al fabbricato di proprietà del ricorrente.
Ciò posto, la Sezione ritiene che l’intervento edilizio come sopra descritto rimanga nell’ambito della ristrutturazione edilizia e non può, nel suo complesso, essere considerato quale intervento di nuova costruzione.
Vi è, invero, che l’opera progettata amplia, in lunghezza ed in altezza, il precedente locale ripostiglio.
Va in proposito considerato che l’area di sedime resta, salvo l’ampliamento in orizzontale, la medesima e due delle pareti originarie non risultano oggetto di demolizione e ricostruzione, conservandosi pure l’originaria destinazione a ripostiglio del manufatto.
La modifica della sagoma, dell’altezza, dei prospetti e del volume della originaria costruzione, peraltro, non consentono di qualificare l’intervento come ristrutturazione edilizia ordinaria, prevista dall’articolo 3, comma 1, lettera d) del DPR n. 380 del 2001, rientrando invece lo stesso nella diversa categoria della ristrutturazione edilizia “pesante”, contemplata dall’articolo 10 del testo unico dell’edilizia.
La richiamata lettera d) dell’articolo 3, nel testo vigente alla data di adozione del provvedimento impugnato (cui è necessario fare riferimento, dovendo la verifica di legittimità dell’atto amministrativo essere effettuata sulla base del dato normativo vigente all’epoca della sua emanazione), dispone che rientrano nella ristrutturazione edilizia “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi e impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica…”; precisandosi, altresì, che “Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia solo ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente”.
Dalla lettura della disposizione emerge chiaramente come non rientrino nella nozione di ristrutturazione urbanistica “ordinaria” tutti quegli interventi edilizi sulle preesistenze che comportino incrementi volumetrici e, nelle zone vincolate (come quella in esame, per come emerge dall’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune con atto n. 429/2019 del 18-2-2020), quelli che comportino modifiche della sagoma degli edifici.
L’articolo 10 del Testo unico (nella formulazione vigente alla data di adozione del provvedimento impugnato) prevede, invece, che “Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: …c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti…nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”.
Da tale norma è dato di ricavare la sostanziale assimilabilità dell’intervento di ristrutturazione edilizia caratterizzato da incrementi volumetrici ovvero di sagoma e prospetti a quello di nuova costruzione, quantomeno per le porzioni che costituiscono un novum rispetto alla preesistenza.
In buona sostanza, quando l’intervento edilizio sulla preesistenza modifichi quest’ultima con riferimento ai parametri urbanistico-edilizi sopra evidenziati, l’opera in relazione a questi ultimi deve essere valutata come una innovazione rilevante in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio ed è soggetta, per le parti di interesse, alle regole generali che presidiano e disciplinano l’edificazione sul territorio comunale.
Sicchè la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia “pesante” restano assoggettati al previo rilascio del permesso di costruire e soggiacciono al regime delle distanze previsto dalla normativa urbanistica.
Questo Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, IV, 2-4-2019, n. 2163; IV, n. 5466/2020) ha, invero, chiarito che, indipendentemente dalla qualificazione di un intervento in termini di ristrutturazione o di nuova costruzione, nell’ipotesi in cui un manufatto venga ricostruito senza il rispetto della sagoma preesistente e dell’area di sedime, occorrerà comunque il rispetto delle distanze prescritte poiché esso – quanto alla sua collocazione fisica – rappresenta un novum, come tale tenuto a rispettare le norme sulle distanze; precisandosi, altresì, che la distanza preesistente può essere conservata quando ci si contenga nei limiti preesistenti di altezza, volumetria e sagoma dell’edificio, mentre si ha un novum e, dunque, una nuova costruzione per ciò che eccede (cfr. Cons. Stato, IV, 12-10-2017, n. 4728).
Dai principi giurisprudenziali innanzi richiamati, emerge chiaramente che ove l’intervento edilizio di ristrutturazione comporti incrementi volumetrici ovvero modifiche della sagoma, che si realizzino, come nella fattispecie in esame, nell’incremento dell’altezza del preesistente manufatto e nella realizzazione di una copertura piana in luogo di quella originaria inclinata, tali parti, connotate da innegabili profili di novità rispetto alla preesistenza, soggiacciono al limite delle distanze e non possono essere assorbiti dalla regola della mera osservanza delle distanze preesistenti applicabile alla porzione di edificio originaria.
Le considerazioni innanzi svolte evidenziano, pertanto, che il corretto inquadramento dell’intervento edilizio del ricorrente si palesa in termini di ristrutturazione edilizia “pesante”».

Daniele Majori – Avvocato cassazionista e consulente aziendale

Fonte:www.giustizia-amministrativa.it

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