(Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, 11 giugno 2020, n. 425)
«Il primo profilo attiene all’asserita incompetenza del dirigente ad adottare l’ordinanza di demolizione impugnata a favore del Sindaco.
L’emanazione da parte del dirigente dell’ordinanza di demolizione è in linea con il principio della separazione tra funzioni di indirizzo politico e di gestione amministrativa, quale corollario di imparzialità e buon andamento. Il principio, oggi sancito dal d. lgs. n. 165 del 2001 e che trova attuazione, nell’ambito dell’ordinamento degli enti locali, nell’art. 107 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, comporta, infatti, l’attribuzione dell’attività di gestione amministrativa, tecnica e finanziaria ai dirigenti, che di regola adottano tutti i provvedimenti rilevanti all’esterno.
Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione di atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservano agli organi di governo dell’ente.
Sono ad essi attribuiti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dall’organo politico, tra i quali, in particolare, i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale (art. 107, comma 3, lett. g, d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267).
L’art. 107 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico degli enti locali) completa la disciplina dei poteri attribuiti al dirigente affermando che le attribuzioni di questi possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative (comma 4) e specificando che, a decorrere dall’entrata in vigore del testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi di governo l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall’art. 50, comma 3, e dall’art. 54 (comma 5). Ciò comporta che le disposizioni di legge precedenti all’entrata in vigore del T.u.e.l. debbano essere interpretate nel senso che, a fronte di previsioni di attribuzioni gestionali intestate a organi politici, il relativo potere di adozione deve intendersi trasferito al dirigente, salve le ipotesi di cui agli artt. 50 e 54 Tuel: è il caso dell’art. 378 della l. 20 marzo 1865 all. F, dell’art.15 del decreto luogotenenziale 1 settembre 1918 n.1446, e dell’art. 21, comma 5, del d. lgs. n. 285 del 1992.
La competenza sull’affare deve dunque essere ascritta alla dirigenza, in virtù dell’art. 107 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e non già al Sindaco, come prospetta invece l’appellante, giacché a tale organo sono devolute, giusta il disposto dell’art. 50 del medesimo testo unico, le sole funzioni espressamente riconosciute al medesimo dalla legge.
Del resto, in materia di vigilanza e adozione dei provvedimenti consequenziali in materia edilizia, i Titoli III e IV della parte I del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, nel prevedere ipotesi di interventi pubblici repressivi non limitati all’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie, come nel caso di specie, dove oggetto della controversia è un ordine di demolizione, intestano espressamente la relativa competenza ai dirigenti.
Il profilo di dedotta incompetenza sopra analizzato risulta quindi infondato.
Con il secondo profilo del motivo in esame l’appellante ha dedotto l’incompetenza del dirigente comunale in favore del Prefetto sulla base degli artt. 8 e 9 della l. 681/1989.
Anche tale profilo dell’asserita incompetenza è infondato. Ciò in quanto, da un lato, la legge disciplina l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie e, dall’altro lato, in base all’art. 17 della legge n. 689 del 1981 la competenza del prefetto è solo residuale, intervenendo laddove il compito di applicare la sanzione non sia demandata ad altri organi, che vengono individuati come altri organi statali ma estensibili attualmente alle competenze degli altri enti pubblici, anche territoriali.
Le norme di principio contenute nel Capo I, della legge 24 novembre 1981, n. 689 sono dotate di applicazione generale dal momento che, in base all’art. 12, le stesse devono essere osservate con riguardo a tutte (e sole) le violazioni aventi natura amministrativa per le quali è comminata la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di danaro (Cons. St., sez. VI, 26 marzo 2020, n. 2110), circostanza, quest’ultima, che non ricorre nel caso di specie.
L’intento del legislatore è stato, infatti, quello di assoggettare ad un statuto unico ed esaustivo (e con un medesimo livello di prerogative e garanzie procedimentali per il soggetto inciso) tutte le ipotesi di sanzioni amministrative, sia che siano attinenti a reati depenalizzati sia che conseguano ad illeciti qualificati “ab origine” come amministrativi, con la sola eccezione delle violazioni disciplinari e di quelle comportanti sanzioni non pecuniarie. L’ampia portata precettiva della legge n. 689 del 1981, che detta uno statuto unitario delle sanzioni amministrative, è esclusa dalla presenza di una diversa regolamentazione da parte di fonte normativa, pari ordinata, che per il suo carattere di specialità si configuri idonea ad introdurre deroga alla norma generale e di principio (Cons. St., sez. VI, 26 marzo 2020, n. 2110).
Ne deriva che anche il secondo profilo di incompetenza dedotto dall’appellante non è meritevole di tutela».
Daniele Majori – Avvocato e consulente aziendale
Fonte:www.giustizia-amministrativa.it
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