Forze armate e forze di polizia, Ordinamento militare, Risarcimento del danno

Al militare illegittimamente trasferito spetta il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti a causa dell’allontanamento dal luogo di residenza e dal nucleo familiare.

(Tar Campania, Napoli, sez. VI, 5 giugno 2020, n. 2223)

«La domanda relativa al danno ritratto a cagione del trasferimento e dell’allontanamento dal luogo di residenza del ricorrente e del di lui nucleo familiare, va invero positivamente delibata sulla scorta delle considerazioni in appresso.
2.4. Sussistono, invero, gli elementi costitutivi dell’illecito dell’Amministrazione:
– i due trasferimenti, in Piemonte e nel Lazio, sono stati riconosciuti illegittimi, con statuizioni giudiziali irretrattabili;
– la colpa dell’Amministrazione è parimenti ravvisabile, stante la peculiare pregnanza e natura del vizio che ne ha afflitto il contegno, già censurato in sede cautelare nel luglio 2010 e pur tuttavia perdurato per oltre tre anni;
– i lamentati danni, patrimoniali e non patrimoniali, sono poi chiaramente ricollegabili causalmente ai trasferimenti d’autorità in luoghi lontani da quelli in cui era stabilito il nucleo familiare del ricorrente; trattasi, in particolare, delle spese sofferte in ragione della nuova sistemazione ovvero di quelle mediche relative agli esborsi correlati alle visite sostenute dall’intero nucleo familiare presso lo studio di una psicologa, nonché del danno non patrimoniale, cioè delle sofferenze fisiche e psicologiche e del danno esistenziale riveniente dal repentino allontanamento dal luogo di residenza e dal correlato distacco dagli affetti familiari.
2.5. Quanto al danno patrimoniale, valga il rilevare quanto appresso.
2.5.1. Va anzitutto rimarcato che:
– il dato relativo alla effettiva entità delle spese mediche sostenute, pure allegato in ricorso, non è confortato da idoneo supporto probatorio, non essendo dato rinvenire nel fascicolo di parte ricorrente la fattura pure indicata sub doc. 17;
– anche le spese di viaggio e, eventualmente, di alloggio, verosimilmente sostenute dal ricorrente in conseguenza del trasferimento, mancano di puntuali riferimenti documentali.
2.5.2. E, tuttavia, è evidente che –in ragione della allegata perizia medica, nonché dell’incontestabile trasferimento in altre regioni, durato per circa 3 anni- il ricorrente ha avuto a sostenere, secondo l’id quod plerumque accidit, esborsi che per certo non avrebbe dovuto sopportare sol che l’Amministrazione, improntando la propria azione a canoni di proporzionalità e di ragionevolezza, avesse provveduto a trasferire il ricorrente nell’ambito della regione o provincia di residenza, siccome di poi avvenuto soltanto in data 4 giugno 2013 e a seguito del dictum giudiziale.
2.5.3. Il nocumento patrimoniale, indi, incontestato nell’an, va determinato nel suo quantum facendo riferimento al giudizio di equità, nei sensi che si puntualizzeranno in appresso in guisa omnicomprensiva, all’esito della disamina anche del vulnus di matrice non patrimoniale.
2.6. E, invero, analoga, e per certi versi necessitata, valutazione equitativa connota lo scrutinio della domanda anche nella parte relativa al danno non patrimoniale, di cui pure e preliminarmente va riconosciuta la sussistenza nell’an, atteso che (TAR Campania, VI, 8 aprile 2020, n. -OMISSIS-):
– l’illegittima actio della Amministrazione ha irremissibilmente leso l’interesse vantato da parte ricorrente a vivere e a lavorare nelle vicinanze del luogo di residenza del proprio nucleo familiare, interesse di rango per certo costituzionale;
– tale condotta commissiva di trasferimento concreta la violazione dei diritti del lavoratore, costituzionalmente garantiti e protetti, arrecando senz’altra un nocumento non patrimoniale alla sua sfera giuridica, comechè lesiva di interessi inerenti alla sua persona – sia come singolo che come membro di una formazione sociale, e principalmente di quella costituita dalla propria famiglia – non connotati da rilevanza economica;
– l’evento lesivo de quo agitur ha ad oggetto, pertanto, interessi e valori aventi valore costituzionale (artt. 2, 3, 4, 29, 30 Cost.) di matrice non patrimoniale, concretando una ingiustizia costituzionalmente qualificata e, dunque, ristorabile a’ sensi dell’art. 2059 c.c.;
– e, invero, “in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili” (Cass., SS.UU., 11 novembre 2008, n. 26973) la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di tali diritti inalienabili della persona, siccome riconosciuti dalla Carta costituzionale, letti nel prisma dei principi sovranazionali (CEDU e Carta di Nizza);
– nella fattispecie de qua agitur, indi, la risarcibilità del nocumento non patrimoniale affonda le proprie radici proprio nella “ingiustizia costituzionalmente qualificata del danno”, inteso quale evento lesivo, ovvero “danno-evento”.
2.6.1. Quanto alla natura e alla effettiva latitudine della lesione arrecata all’interesse del danneggiato, è parimenti dato ricevuto che deve trattarsi di una offesa avente un certo grado di consistenza e serietà.
2.6.2. E, invero la gravità dell’offesa costituisce requisito ulteriore, così che “il diritto deve essere inciso oltre una soglia minima, cagionando un pregiudizio serio (…) il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza (…) pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.)” (così, ancora, l’insegnamento di Cass., SS.UU., 26973/08 cit.).
2.6.3. Ora, nel caso di specie, non è dubbia la gravità della lesione arrecata all’ineludibile diritto del militare a compiutamente esplicare la propria personalità ed i propri munera di marito e padre in ambito familiare –prestando la propria attività lavorativa nelle vicinanze del luogo di residenza- e dunque la pregnante consistenza del nocumento costituzionalmente ingiusto inferto alla sfera di parte ricorrente dall’illecito contegno della Amministrazione.
2.6.4. Le effettive conseguenze dannose (danno-conseguenza), di poi, discendenti dal fatto illecito lesivo della sfera non patrimoniale del ricorrente, vanno individuate avuto riguardo alla verosimile incidenza che, secondo l’id quod plerumque accidit, il repentino allontanamento del ricorrente dalla propria famiglia ha avuto sulla propria condizione esistenziale e familiare.
2.6.5. Ora, tradizionalmente la figura del danno non patrimoniale -dapprima, in guisa descrittiva, qualificata nei termini di danno esistenziale- è stata ricostruita (ab initio, e segnatamente, in ambito lavoristico, nei casi di demansionamento o dequalificazione) nei termini di pregiudizio – non di natura emotiva o interiore, ma “empiricamente” ovvero “oggettivamente” percepibile ed accertabile, comechè avente una rilevanza per così dire anche ab externo – provocato sul fare areddituale del soggetto, idoneo ad alterare le sue abitudini e gli assetti relazionali che gli erano propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno (Cass., SS.UU., 6572/06).
2.6.6. E’ chiaro che in quel caso si verte in tema di lesione del diritto fondamentale del lavoratore di esplicare pienamente la propria personalità nella formazione sociale ove è incardinato, per realizzare aspirazioni afferenti alla propria sfera individuale nonché a quella del proprio nucleo familiare (artt. 2, 4, 35 e 36 Cost.).
2.6.7. Più in generale, viene in rilievo la idoneità del fatto illecito –lesivo, in modo sufficientemente consistente e serio, degli interessi costituzionalmente rilevanti di cui è portatore il danneggiato- a comprimere o a coartare le attività della persona, obbligandola ad adottare nella vita di tutti i giorni comportamenti diversi da quelli passati, ovvero impedendogli di sviluppare appieno la propria personalità nelle formazioni sociali ove è inserita (famiglia, luogo di lavoro, scuola, contesto territoriale ed ambientale), in tal guisa distinguendosi dal danno morale soggettivo (pur rientrante nella medesima categoria del danno non patrimoniale) e dal danno biologico (TAR Campania, VI, -OMISSIS-/20, cit.).
2.6.8. Analogamente, tale stravolgimento delle abitudini di vita –idoneo a seriamente minare e a ledere anche l’assetto relazionale ed emotivo che governa i rapporti all’interno del nucleo familiare- è verosimilmente predicabile in presenza di un trasferimento del militare ad altra sede di servizio (in altre regioni) ex abrupto adottato: pregiudizio immediatamente percepibile, passandosi da una situazione originaria di pienezza, ad una successiva di limitazione.
2.6.9. Come già affermato da questo TAR in subiecta materia, in uno con l’orientamento consolidato della giurisprudenza, il danno alla sfera personale e psichica è un “danno-conseguenza” che come ogni altro danno deve essere provato e che esso “non si identifica nel mero transeunte patema d’animo (che, come noto, assume rilievo risarcitorio solo in presenza della commissione di un illecito penale), ma, di contro, presuppone la lesione dell’integrità psichica della persona, ossia un’alterazione patologica e scientificamente dimostrabile del fisiologico equilibrio psichico dell’interessato (ad es., uno stato depressivo), ovvero comunque una profonda, strutturale, endemica compromissione dell’ordinario tessuto esistenziale del danneggiato, sconvolto dall’illecito con proporzioni ed effetti dirompenti” (TAR Campania, VI, 19 dicembre 2019, n. 6058; CdS, IV, 15 maggio 2018, n. 2888).
2.6.10. Pur nel rispetto del principio dispositivo e delle regole generali in tema di onus probandi (artt. 2697, 2043, 2059 c.c.), attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri “il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto” (Cass. SS.UU. 26793/08, cit.; Cass. n. 9834/2002).
2.6.11. Orbene, applicando le suesposte coordinate ermeneutiche alla fattispecie che ne occupa, va quivi rilevato che risulta acclarata:
– la esistenza del diritto del ricorrente a non essere trasferito in località collocata al di fuori della regione di residenza, ovvero la irragionevolezza e la non proporzionalità di una scelta organizzatoria della Amministrazione che – lungi dal limitarsi, come poi è avvenuto dal 2013, a spostare il ricorrente in sede diversa da quella originaria […] ma comunque posta nelle vicinanze […] – costringeva il ricorrente a trasferirsi in località sensibilmente distanti da quella in cui erano stabilmente radicati i propri familiari;
– il vulnus che verosimilmente –in forza di un giudizio di inferenza probabilistica fondato anche sulle regole di esperienza delle diverse discipline che quivi vengono in rilievo, da quelle mediche a quelle psicologiche – è stato ingenerato nella sfera giuridica del ricorrente per il periodo di illegittimo allontanamento dalla residenza familiare.
2.6.12. E, invero:
– il ricorrente ha documentato una situazione personale e familiare problematica, con l’intero nucleo familiare in “-OMISSIS-” per circa cinque anni a partire proprio dal momento del trasferimento lavorativo da Napoli a Torino, ciò che “ha creato una sintomatologia in tutto il sistema familiare”, compresi i due bambini piccoli (relazione medica del 18.10.2015, sub doc. 17 produzione di parte ricorrente);
– in questa situazione, è ragionevole supporre che egli abbia particolarmente sofferto la sua condizione di lontananza e che questo patimento sia stato accentuato dalla consapevolezza della ingiustizia subita, peraltro giudizialmente e reiteratamente affermata all’esito di controversie con l’Amministrazione che hanno verosimilmente prodotto conseguenze in termini di frustrazione e stress; siccome già affermato in fattispecie analoga “può ritenersi in base a presunzioni che l’illegittimità patita – che ha obbligato il ricorrente per un lungo periodo di tempo a vivere lontano dal centro dei suoi interessi personali e familiari e a viaggiare costantemente (…) – abbia effettivamente compromesso per non dire sconvolto in modo profondo il suo equilibrio esistenziale” (TAR Campania, VI, 6058/19, cit.).
2.6.13. D’altra parte, è evidente che il repentino allontanamento dalla regione e dalla provincia di residenza non può che aver comportato – in relazione alla situazione personale e familiare del ricorrente – una profonda e ingiusta alterazione del suo “tessuto esistenziale”; e ciò in base a un semplice ragionamento presuntivo fondato sul senso comune, in forza del quale un soggetto costretto a lavorare e a vivere per quasi tre anni in luoghi lontani da quello in cui sono stabiliti i suoi cari –e, dunque, impossibilitato a prestare adeguato sostegno e assistenza ai figli minori e alla propria coniuge- abbia patito una condizione di pregnante ed intenza sofferenza psicologica e di stress (per quanto non tradottasi a sua volta in una patologia psichica), con una sostanziale ed innegabile alterazione e mutazione -integrante i prescritti parametri della apprezzabilità, serietà, consistenza- delle normali abitudini di vita ed esistenziali.
2.7. Va altresì rimarcata la sussistenza del nesso di causalità, stante la causale riconducibilità –secondo la logica del “più probabile che non”- di tale pregiudizio all’illegittimo contegno della Amministrazione, derivando la lesione in re ipsa dai trasferimenti de quibus.
2.8. Parimenti irrefragabile, siccome sopra già accennati, è la natura affatto inescusabile della condotta dell’Amministrazione, tenuto conto non soltanto della valenza fondamentale del diritto vantato da parte ricorrente, ma anche delle reiterate, ed inequivocabili, statuizioni rese sul punto dal TAR Basilicata.
2.9. Anche la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale va pertanto accolta sulla scorta delle superiori considerazioni.
2.10. Sul quantum debeatur, valga il ribadire quanto appresso, in uno con quanto accennato supra:
– si impone una valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., stante la impossibilità – o la estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno, tenuto conto della sua peculiare natura (sulla possibilità di ricorso a presunzioni e alla liquidazione equitativa si vedano, ancora, i dettami di Cass., 28 febbraio 2019, n. 5801; Id., 16 aprile 2018, n. 9385);
– di qui il ricorso necessitato alla valutazione equitativa, vertendosi in tema di lesione della sfera immateriale e personalissima del ricorrente, priva di misura ma non certo di contenuto, afferendo ai valori inalienabili della persona, quale lavoratore, marito e padre.
3. In applicazione dei principi suesposti alla fattispecie per cui è causa, sia in relazione al danno non patrimoniale che a quello patrimoniale, può concludersi nel senso che l’importo da riconoscere in via equitativa –tenuto conto della natura e della durata della azione illegittima patita dal ricorrente- va complessivamente ed in guisa omnicomprensiva determinato in una somma pari ad € 15.000,00, oltre interessi legali a decorrere dalla data di pubblicazione della presente decisione.
4. Infine, non si rinvengono ragioni per deflettere dalla regola generale, in forza della quale le spese di lite sono poste a carico della parte soccombente, nella misura di cui al dispositivo
».

Daniele Majori – Avvocato e consulente aziendale

Fonte:www.giustizia-amministrativa.it

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