(Tar Campania, Napoli, sez. VI, 4 febbraio 2016, n. 653)
«Nel presente giudizio si controverte in ordine alla legittimità dell’atto prot. 14761 del 23.07.2015 con cui la Direzione Territoriale del Lavoro […], pronunciandosi sull’istanza inoltrata nell’interesse della ditta ricorrente in data 29.06.2015, non consentiva l’accesso a tre denunce cui avevano fatto seguito accessi ispettivi nelle seguenti date così verbalizzati: per la prima denuncia i verbali del 29.01.2004, 21.05.2004, 21.04.2005, 8.06.2005, per la seconda il verbale ispettivo del 30.08.2006, e per la terza quello 15.10.2014. Quale motivo di diniego veniva opposto il disposto di cui all’art. 2 comma 1 lettera b) del d.m. 757/1994 recante “Regolamento concernente le categorie di documenti formati o stabilmente detenuti dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale sottratti al diritto di accesso ai sensi dell’art. 24 comma 4 della legge n. 24171990” a tenore del quale tra le categorie di atti sottratti al diritto di accesso sono ricomprese “le richieste d’intervento”, e la durata della preclusione ai sensi del successivo art.3 lettera a) del medesimo d.m. è di 5 anni.
2.1 Tanto premesso il ricorso è fondato e merita accoglimento limitatamente alle denunce indicate sub 1) e sub 2) del diniego impugnate che, in quanto sporte in data anteriore alle ispezioni di cui ai verbali redatti rispettivamente nel 2004 e nel 2006, fuoriescono dall’ambito di operatività della esclusione “quinquennale” opposta di cui all’art. 3 lett.a) del regolamento di cui al d.m. 757/1994 citato nel provvedimento impugnato. L’art. cit. nel determinare difatti la durata del divieto di accesso per le categorie di documenti indicati nell’articolo precedente, con riferimento ai documenti contenenti le richieste di intervento dell’Ispettorato del lavoro di cui all’art. 2 lett. b), stabilisce che l’esclusione perdura per una durata di cinque anni, o finché perduri il rapporto di lavoro nella ipotesi in cui la richiesta di intervento provenga da un lavoratore o abbia comunque ad oggetto un rapporto di lavoro.
Nella specie, né dalla motivazione del provvedimento impugnato, né aliunde, può ricavarsi che le denunce oggetto di richiesta di ostensione provengano da un lavoratore alle dipendenze della impresa istante sicchè in siffatta evenienza non possono ravvisarsi evidenti e individuate ragioni di tutela della riservatezza che giustifichino il procrastinarsi del divieto di ostensione opposto oltre il limite imposto dalla norma regolamentare richiamata dalla stessa amministrazione a sostegno del provvedimento impugnato.
D’altra parte, a fronte di una reiterazione di esposti volti a sollecitare in più occasioni il controllo ispettivo dell’amministrazione intimata, non può disconoscersi in capo all’istante un interesse giuridicamente rilevante e differenziato, non emulativo, nè riducibile a mera curiosità, ma collegato da uno specifico nesso con le esigenze di tutela e di esercizio del diritto di difesa poste a base della istanza inoltrata. Ed infatti il soggetto che subisce un procedimento di controllo vanta un interesse qualificato a conoscere i documenti utilizzati per l’esercizio del potere – inclusi, di regola, gli esposti e le denunce che hanno attivato l’azione dell’autorità – suscettibili per il loro particolare contenuto probatorio di concorrere all’accertamento di fatti potenzialmente pregiudizievoli. Ciò in quanto l’esposto, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell’amministrazione, costituisce un documento che assume rilievo procedimentale come presupposto di un’attività ispettiva o di un intervento in autotutela, e di conseguenza il denunciante perde il controllo sulla propria segnalazione la quale diventa un elemento nella disponibilità dell’amministrazione. Peraltro nella specie, sulla base di quanto dichiarato in atti dal ricorrente e non contestato in atti dall’amministrazione intimata, le denunce oggetto della presente richiesta ostensiva sarebbero di provenienza anonima e la tolleranza verso denunce segrete e/o anonime è un valore estraneo al nostro ordinamento giuridico. Non può pertanto seriamente dubitarsi che la conoscenza integrale dell’esposto rappresenti uno strumento indispensabile per la tutela degli interessi giuridici dell’istante, essendo intuitivo che solo in questo modo la ricorrente potrebbe proporre (eventualmente) contro-denunce a tutela della propria immagine verso l’esterno. Del resto il principio di trasparenza dell’attività amministrativa sotteso alla disciplina in materia di accesso vale sia per il denunciato, sia nei confronti del denunciante, in quanto la posizione di denunciante legittima l’accesso agli atti della procedura che ha preso origine dall’esposto.
Il ricorso pertanto merita accoglimento limitatamente alla richiesta di ostensione delle denunce sub 1) e 2) di cui al provvedimento impugnato, ferma restando la legittimità del diniego impugnato rispetto alla denuncia sub 3) ai sensi della norma richiamata che, ponendo un divieto solo temporalmente limitato e circoscritto, non può dirsi in contrasto con le esigenze di tutela e di difesa invocate in ricorso».
Daniele Majori – Avvocato e consulente aziendale
Fonte:www.giustizia-amministrativa.it
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