(Consiglio di Stato, sez. IV, 20 gennaio 2015, n. 143)
«In particolare, merita condivisione il primo motivo di entrambi gli appelli, con cui è reiterata l’eccezione di tardività dell’originaria impugnazione dell’aggiudicazione definitiva.
17.1. In punto di fatto, risulta incontestato che il ricorso di primo grado è stato notificato a controparte ben oltre il trentesimo giorno dal ricevimento da parte del r.t.i. istante della comunicazione dell’aggiudicazione definitiva di cui all’art. 79 del d.lgs. nr. 163 del 2006, con conseguente superamento del termine decadenziale di cui all’art. 120, comma 5, cod. proc. amm.
17.2. A fronte dell’eccezione in tal senso sollevata dalle parti intimate, il primo giudice ha però ritenuto tempestiva la domanda assumendo che nella specie il termine d’impugnazione dovesse considerarsi decorrente dalla data, successiva all’aggiudicazione ed alla relativa comunicazione, in cui le imprese ricorrenti avevano acquisito conoscenza dei vizi che inficiavano la procedura selettiva, data coincidente con le sopravvenute notizie di cronaca in ordine alle indagini penali ed alle misure cautelari eseguite per gravi reati commessi (anche) in occasione della gara di che trattasi.
17.3. Questa Sezione non condivide siffatta ricostruzione, ritenendo che anche nella presente fattispecie vada riaffermato il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui, poiché il procedimento di scelta del privato contraente si conclude con l’aggiudicazione, relativamente alla quale il termine per proporre l’impugnazione decorre dalla conoscenza degli elementi essenziali di tale atto (quali la sua esistenza, l’autorità emanante, il contenuto dispositivo ed il suo effetto lesivo), non può assumere alcun rilievo la conoscenza sopravvenuta di nuovi vizi, la quale semmai può giustificare la proposizione di motivi aggiunti, ma non consente la riapertura dei termini per proporre l’impugnazione in via principale (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 21 maggio 2004, nr. 3298; id., sez. V, 2 aprile 1996, nr. 381; id., 4 ottobre 1994, nr. 1120; C.g.a.r.s., 20 aprile 1998, nr. 261).
17.4. Più specificamente, non convince il tentativo della parte odierna appellata di proporre una distinzione tra i vizi immediatamente evincibili dagli atti del procedimento, per i quali effettivamente il dies a quo del termine per l’impugnazione coinciderebbe con la comunicazione dell’aggiudicazione, e altri vizi percepibili aliunde, per i quali dovrebbe farsi invece riferimento al momento dell’effettiva conoscenza (eventualmente successiva alla conoscenza del provvedimento conclusivo e degli atti della procedura selettiva); in particolare, si assume che nella seconda categoria rientrerebbero i vizi afferenti “ai fatti e comportamenti tenuti dai soggetti partecipanti al procedimento e cioè a circostanze che non trovano né possono trovare negli atti di gara la loro rappresentazione”.
La Sezione, per vero, non ravvisa ragione per discostarsi dalla comune individuazione, oggi consacrata a livello positivo dall’art. 21-octies, comma 1, della legge 7 agosto 1990, nr. 241, dei vizi del provvedimento amministrativo nelle tradizionali categorie della violazione di legge, dell’incompetenza e dell’eccesso di potere: con la precisazione che per “provvedimento adottato in violazione di legge” deve intendersi quello in cui il vizio sia stato posto in essere nell’ambito dell’attività procedimentale/provvedimentale della p.a., senza che possano assumere rilievo ex se le eventuali condotte illecite (o finanche penalmente rilevanti) poste in essere dai soggetti che abbiano operato per conto della stessa p.a.; queste ultime, se del caso, potranno rilevare sotto il profilo dell’eccesso di potere per sviamento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 ottobre 2000, nr. 5366), ma a condizione che tale vizio trovi “rappresentazione” negli atti impugnati attraverso le sue figure sintomatiche, come sempre è necessario perché possa configurarsi tale tipologia di vizio (e come, invece, la stessa parte appellata esplicitamente nega sia avvenuto nel caso che qui occupa).
Né deve sorprendere il fatto che, a fronte di condotte illecite e anche penalmente rilevanti poste in essere da pubblici ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni, possa non sussistere anche un vizio di legittimità negli atti da questi posti in essere: trattasi invero di evenienza fisiologica, connessa alla diversa natura del giudizio amministrativo di legittimità, che presuppone sempre l’accertamento di vizi che devono ricavarsi dai provvedimenti impugnati o dall’iter procedimentale che li ha preceduti, rispetto al giudizio penale, che ha a oggetto l’accertamento di responsabilità individuali per fatti previsti dalla legge come reati (e la cui commissione, come è noto, può determinare anche l’interruzione del rapporto di immedesimazione organica tra il pubblico ufficiale e la p.a. presso cui presta servizio)
[…]».
Daniele Majori – Avvocato Amministrativista in Roma
Fonte:www.giustizia-amministrativa.it
Discussione
Non c'è ancora nessun commento.