(Tar Lazio, Roma, sez. III Quater, 15 dicembre 2014, n. 12590)
«Preliminarmente occorre rilevare che in tema di accesso ai documenti amministrativi è sufficiente che un soggetto di diritto privato ponga in essere un’attività che corrisponda ad un pubblico interesse affinché lo stesso assuma la veste di Pubblica amministrazione e, come tale, sia assoggettato alla specifica normativa dettata dalla l. 7 agosto 1990 n. 241 in materia in accesso (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 7 ottobre 2013, n. 4923; si veda anche TAR Trento, Sez. I, 12 ottobre 2012, n. 305 “Anche nei confronti di soggetti con personalità giuridica di diritto privato sussiste l’obbligo di garantire il diritto di accesso, a prescindere dalla loro qualificazione quale organismo di diritto pubblico, qualora si tratti di soggetti gestori di servizi pubblici”).
Nel merito il Collegio osserva come l’art. 22, comma 1, lett b) legge n. 241/90 nel testo novellato dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15, richiede per la legittimazione attiva all’esercizio del diritto di accesso la titolarità di un “interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso”, disponendo, al comma 3, che “tutti i documenti amministrativi sono accessibili ad eccezione di quelli indicati all’art. 24 c. 1, 2, 3, 5 e 6”; l’art. 24, comma 7, precisa poi che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici; nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”; l’art. 92, par. 2, del D.lgs. 196/2003, del resto, nel dettare una disciplina specifica sull’accesso alla cartelle cliniche quali documenti contenenti dati “sensibilissimi” stabilisce che “Nei casi in cui organismi sanitari pubblici e privati redigono e conservano una cartella clinica in conformità alla disciplina applicabile, sono adottati opportuni accorgimenti per assicurare la comprensibilità dei dati e per distinguere i dati relativi al paziente da quelli eventualmente riguardanti altri interessati, ivi comprese informazioni relative a nascituri. Eventuali richieste di presa visione o di rilascio di copia della cartella e dell’acclusa scheda di dimissione ospedaliera da parte di soggetti diversi dall’interessato possono essere accolte, in tutto o in parte, solo se la richiesta è giustificata dalla documentata necessità: a) di far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria ai sensi dell’articolo 26, comma 4, lettera c), di rango pari a quello dell’interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile; b) di tutelare, in conformità alla disciplina sull’accesso ai documenti amministrativi, una situazione giuridicamente rilevante di rango pari a quella dell’interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile”.
Come emerge dagli atti di causa, in particolare, l’istanza della ricorrente risulta formulata in rapporto di stretta strumentalità con l’esigenza di utilizzo della cartella clinica nell’ambito del procedimento di scioglimento del matrimonio canonico pendente innanzi al Tribunale ecclesiastico.
Sotto tale profilo, dunque, il Collegio ritiene che il fine dello scioglimento del vincolo matrimoniale (religioso) costituisca una situazione giuridica di rango almeno pari alla tutela del diritto alla riservatezza dei dati sensibili relativi alla salute, in quanto involgente un significativo diritto della personalità, con la conseguenza che in presenza di tale situazione deve ritenersi sussistente l’interesse personale idoneo a legittimare la proposizione della domanda di accesso alla cartella clinica, senza che sia necessaria alcuna penetrante indagine in merito alla essenzialità o meno della documentazione richiesta, né circa le prospettive di buon esito del rito processuale concordatario (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28 ottobre 2008, n. 5374; T.A.R. Sicilia-Catania, Sez. IV, 7 maggio 2009, n. 878).
Quanto al carattere non nazionale e non statuale dei Tribunali ecclesiastici, è stato osservato, in base all’art. 8, comma 2, L. 25 marzo 1985, n. 121, di ratifica ed esecuzione dell’accordo stipulato a Roma il 18 febbraio 1984 – secondo cui “le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo, sono, su domanda delle parti o di una di esse, dichiarate efficaci nella Repubblica italiana con sentenza della corte d’appello” – che le decisioni in parola “se pure rese da un potere giudiziario non appartenente allo Stato italiano, non di meno sono destinate ad acquisire, nello stesso, piena efficacia e forza cogente, in una situazione di pari dignità giuridica con le sentenze di scioglimento del vincolo matrimoniale civile assunte dagli organi giudiziari nazionali”, con la conseguenza che “l’intento di adire la via giurisdizionale concordataria ai fini della declaratoria di nullità del vincolo coniugale va assimilato, ai fini dell’esercizio del diritto di accesso, all’intento di adire il giudice nazionale per il conseguimento del divorzio” (Cons. Stato, Sez. V, 14 novembre 2006, n. 6681).
Muovendo da tali considerazioni, il diniego opposto dalla resistente è ingiustificato e va quindi affermato il diritto di accesso della ricorrente alla menzionata cartella clinica del coniuge (o comunque alla certificazione ad hoc in suo possesso) richiesta con l’istanza di cui all’odierno ricorso, essendo la medesima necessaria per la difesa dei propri interessi giuridici ai sensi dell’art. 24, comma 7, L. n. 241/90».
Daniele Majori – Avvocato Amministrativista in Roma
Fonte:www.giustizia-amministrativa.it
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