D.I.A./S.C.I.A., Edilizia e urbanistica, Processo amministrativo

Poiché la DIA non è provvedimento tacito direttamente impugnabile, l’unica tutela possibile del terzo che si assume leso da tale dichiarazione è quella di sollecitare l’esercizio dei poteri di verifica in senso stretto, entro i termini di trenta o sessanta giorni, nonché l’esercizio degli immanenti poteri di autotutela che comunque residuano all’Amministrazione, una volta scaduti i predetti limiti temporali, ai sensi di quanto disposto dal comma 3 dell’art. 19 legge n. 241/90 (applicabile anche alla SCIA edilizia): in caso di inerzia, il terzo potrà esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 c.p.a. e, trattandosi di azione sul silenzio (senza impugnativa di alcun atto, neanche tacito), non potrà proporre alcuna domanda cautelare.

(Tar Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 11 settembre 2014, n. 661)

«Il ricorso è ammissibile, poiché l’interessato ha a più riprese puntualizzato di non aver inteso intraprendere alcuna azione impugnatoria sulla DIA avversata (neanche sotto forma di silenzio-assenso sui mancati controlli e/o di diniego tacito della PA ad esperire verifiche repressive). Tenendo ben a mente il disposto dell’ art. 19 comma 6 ter della legge 241/90 (aggiunto dall’art. 6 comma 1 lett. c del D.L. 13.8.2011 n. 138, convertito con legge del 14.9.2011), il ricorrente ha preso atto che la DIA non è provvedimento tacito direttamente impugnabile, e che l’unica tutela possibile del terzo che si assume leso da tale dichiarazione è quella di “..sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31 commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104” (senza neanche la possibilità di proporre un ricorso impugnatorio avverso il silenzio-rigetto della PA sollecitata, come invece aveva delineato l’adunanza plenaria del consiglio n. 15/2011 poco prima della novella di agosto 2011).
Trattandosi di azione sul silenzio (senza impugnativa di alcun atto, neanche tacito) resta però inammissibile la domanda cautelare, pur se abilmente associata alla richiesta di accertamento di fondatezza della pretesa (intesa quale auspicato azzeramento di qualsiasi portata abilitante alla DIA del controinteressato), di cui la sospensiva sarebbe una sorta di misura atipica, comunque idonea a facilitare l’esercizio dei poteri di verifica dell’amministrazione.
Anche in presenza di siffatte prospettazioni (particolarmente sottili nel coniugare la tutela cautelare con l’impugnativa di un silenzio e non di un atto), la IV sez del consiglio di Stato, con sentenza 500/13, ha recentemente chiarito che l’attuale sistema processuale amministrativo non ammette una domanda cautelare “pura”, ossia non agganciata a una domanda di merito, senza oltre considerare che l’ammissibilità di una sospensiva –pur delineata nei sensi di cui sopra- finirebbe fatalmente per trasformare, nei fatti, l’azione sul silenzio in una (inconfigurabile) azione impugnatoria sulla DIA.
Tra l’altro, occorre rammentare la peculiarità del rimedio indicato nell’art 19, comma 6 ter, l. n. 241/1990, trattandosi di un’azione avverso il silenzio sui generis rispetto a quella “classica” di cui all’art. 31 c.p.a., perché intentata in assenza di un procedimento amministrativo rispetto al quale la P.A. abbia ex lege un obbligo di provvedere (il decorso del termine di legge di 60 o 30 giorni per l’adozione di provvedimenti repressivi da parte della P.A. non configura, infatti, la conclusione tacita o espressa di alcun procedimento amministrativo). Di quanto sopra ne dà contezza la novella all’art. 31 comma 1 CPA disposta dall’art. 1 comma 1 del d.leg.vo n. 195/2011, che ha aggiunto l’inciso “negli altri casi previsti dalla legge”, per ampliare la praticabilità del rimedio a casi evidentemente diversi da quelli tradizionalmente collegati all’infruttuoso decorso dei termini per la conclusione del procedimento amministrativo.
L’obbligo di provvedere a carico del comune –da intendere e delimitare nell’obbligo di dare risposta al terzo richiedente (nel termine residuale di trenta giorni ex art. 2 legge 241/90) circa la posizione assunta dall’ufficio sulla DIA ex adverso presentata – nasce, quindi, solo dalla eventuale sollecitazione fatta dal privato all’esercizio dei poteri di verifica spettanti all’Amministrazione.
Da tale peculiarità si evince inoltre che l’azione può essere esperita per sollecitare non solo i poteri di verifica in senso stretto, entro i termini di trenta o sessanta giorni, ma anche gli immanenti poteri di autotutela che comunque residuano all’amministrazione, una volta scaduti i predetti limiti temporali, ai sensi di quanto disposto dal comma 3 dell’art. 19 legge 241/90 (applicabile anche alla SCIA edilizia, nonostante manchi un suo richiamo specifico ad opera del successivo comma 6 bis, cfr. sul punto Corte Cost. n. 188/12), e ciò in deroga ai principi generali che esonerano l’amministrazione da un obbligo di provvedere su istanze del privato, che sollecitano interventi di secondo grado per revoche o annullamenti d’ufficio.
L’azione intrapresa appare pertanto tempestiva, pur trattandosi di ricorso del 2014, relativo ad una DIA del dicembre 2011, visto che l’interessato, ormai da tempo, aveva chiesto lumi al comune, il quale era stato poi espressis verbis sollecitato ad intraprendere azioni di autotutela, non appena il ricorrente era venuto a sapere che le opere contestate erano state oggetto di dichiarazione di inizio attività rimasta priva di inibitoria (sollecito rimasto, per l’appunto, privo di riscontro alcuno).
L’ammissibilità e la tempestività dell’azione non conduce peraltro a ravvisare la pertinenza dei richiami operati dal ricorrente al comma 3 dell’art. 31 CPA, al fine di ottenere una pronuncia giudiziale che statuisca direttamente la fondatezza della pretesa e la necessità di ingiungere la demolizione delle due pensiline avversate dal ricorrente stesso.
Al contrario di quanto affermato nel gravame, infatti, l’eventuale autotutela ex artt. 21 nonies (ed a fortiori quella ex art. 21 quinquies legge 241/90) non presenta mai connotati rigorosamente vincolati al mero ripristino della legalità, tanto più in presenza del notevole lasso di tempo ormai intercorso dalla presentazione della DIA del dicembre 2011 e dalla scadenza dei termini per la verifica inibitoria (il sollecito a provvedere in autotutela risale al 4.10.13), e ciò con le conseguenti aspettative qualificate di chi ha interesse al mantenimento dello status quo ante, sia pure in via di sanatoria e/o di sanzioni comunque conservative delle opere realizzate (aspettative da ponderare peraltro nell’ambito di ogni procedura autotutoria).
Ma anche a prescindere da tale dirimente considerazione, va richiamata ancora una volta la peculiarità dell’istituto in esame, visto che ai sensi dell’art. 19 comma 3 della legge 241/90, quando pure fosse accertata, a carico della DIA o della SCIA, la carenza dei requisiti di legge entro i termini rituali della verifica inibitoria, residuerebbero pur sempre vasti poteri conformativi in capo all’amministrazione, fermo restando che anche la soluzione inibitoria e/o eliminatoria degli “effetti dannosi”, comunque scevra da qualsiasi automatismo, viene associata dalla citata norma ad espressa motivazione.
Tali ponderazioni istruttorie risultano poi altamente potenziate nell’ipotesi di intervento (in autotutela) oltre i termini ordinari di verifica. Ai sensi del comma 4 dell’art. 19 legge 241/90 (come modificato dal D.L. 138/2011, convertito in legge 148/2011), infatti, qualsiasi intervento di secondo grado dovrebbe essere subordinato dalla PA procedente ad un riscontrato pericolo di danno, “…per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale”, ma mai prima di aver esperito un tentativo (del cui fallimento va data motivazione) di “salvaguardare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente” (locuzione ancor più garantista, rispetto all’analoga previsione “conformativa” prevista nel comma 3, riferita all’ipotesi di verifica entro i termini ordinari).
Nel delineato contesto, appare in radice privo di pregio l’assunto del ricorrente di riportare il suo petitum ad una fattispecie “vincolata” (per di più a ricognizione elementare, senza necessità di attività istruttoria significativa), che consentirebbe al giudice di accertare de plano la fondatezza della pretesa direttamente nel processo per silentium (ricognizione dell’abuso edilizio perpetrato mediante DIA e conseguenti misure inibitorie e demolitorie).
Va detto piuttosto che, all’interno dell’istituto in esame, le fattispecie riconducibili al terzo comma dell’articolo 31 del CPA non possono che essere confinate ad ipotesi particolari, nelle quali emerga ictu oculi in giudizio la presentazione di una SCIA in radice inammissibile, perché afferente ad attività amministrative sottratte in radice dal legislatore a tale istituto di semplificazione/liberalizzazione amministrativa (cfr commi 1 e 4 bis dell’art. 19 legge 241/90), oltre che nei casi in cui risulti conclamata (e/o comunque indiscutibilmente comprovata dal terzo danneggiato) la falsità delle dichiarazioni e dei documenti, di decisivo supporto alla segnalazione/dichiarazione prodotta al comune (cfr. comma 3 art. 19 legge 241/90).
Ipotesi, quelle ora elencate, del tutto estranee all’odierno caso in vertenza.
Dalle sopra illustrate considerazioni, consegue che il gravame è ammissibile e tempestivo, ma trova accoglimento limitatamente all’obbligo del Comune
[…] di dare una motivata risposta (positiva o negativa), entro trenta giorni dalla data di comunicazione e/o notificazione della presente sentenza, alla richiesta del ricorrente in data 4.10.13, mirata ad ottenere l’intervento in autotutela sulla DIA del contro interessato.
E’ invece inammissibile la domanda cautelare
».

Daniele Majori – Avvocato Amministrativista in Roma

Fonte:www.giustizia-amministrativa.it

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