(Tar Lazio, Roma, sez. I Ter, 28 febbraio 2014, n. 2351)
«Il Collegio rileva che, con sentenza della C.G.U.E., Sez. III, 12 settembre 2013 n. C-660/11, è stato affermato, tra l’altro, che:
– gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, la circostanza che un operatore disponga, nello Stato membro in cui è stabilito, di un’autorizzazione che gli consente di offrire giochi d’azzardo non osta a che un altro Stato membro, nel rispetto degli obblighi posti dal diritto dell’Unione, subordini al possesso di un’autorizzazione rilasciata dalle proprie autorità la possibilità, per un tale operatore, di offrire siffatti servizi a consumatori che si trovino nel suo territorio (la Corte si è così pronunciata nella controversia promossa da alcuni gestori italiani di centri di trasmissione dati, per conto di un bookmaker austriaco operante in tutto il mondo, che avevano adito il giudice amministrativo contro il Ministero dell’Interno ed alcune Questure contestando i limiti imposti alla loro attività);
– le medesime disposizioni comunitarie devono essere interpretate nel senso che non ostano a una normativa nazionale che imponga alle società interessate a esercitare attività collegate ai giochi d’azzardo l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di polizia, in aggiunta a una concessione rilasciata dallo Stato al fine di esercitare simili attività, e che limiti il rilascio di una siffatta autorizzazione segnatamente ai richiedenti che già sono in possesso di una simile concessione;
– considerato l’ampio margine discrezionale degli stati membri riguardo agli obiettivi da perseguire ed al livello di tutela dei consumatori ricercato, e vista l’assenza di un’armonizzazione in materia di giochi d’azzardo, allo stato attuale del diritto dell’Unione non esiste alcun obbligo di mutuo riconoscimento delle autorizzazioni rilasciate dai vari stati membri;
– l’obiettivo attinente alla lotta contro la criminalità collegata ai giochi d’azzardo è idoneo a giustificare le restrizioni alle libertà fondamentali derivanti dalla previsione, a opera della normativa nazionale (art. 88 del Tulps), della concessione e dell’autorizzazione di polizia, purché tali restrizioni soddisfino il principio di proporzionalità e nella misura in cui i mezzi impiegati siano coerenti e sistematici, spettando al giudice nazionale verificare se il sistema nazionale risponda realmente all’obiettivo di prevenire le attività criminali o fraudolenti;
– gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che impedisca di fatto qualsiasi attività transfrontaliera nel settore del gioco indipendentemente dalla forma di svolgimento della suddetta attività e, in particolare, nei casi in cui avviene un contatto diretto fra il consumatore e l’operatore ed è possibile un controllo fisico, per finalità di pubblica sicurezza, degli intermediari dell’impresa presenti sul territorio.
Ciò induce, da una parte, a disattendere la richiesta di parte ricorrente tesa a sollevare questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del TFUE in merito alla non conformità del regime concessorio interno agli artt. 43 e 49 del Trattato CE e, dall’altra, a ritenere conforme al diritto comunitario (artt. 43 e 49 CE), perché espressione di interessi imperativi generali, imporre di ottenere licenze per l’esercizio dell’attività di bookmaker, previa concessione dell’AAMS ed autorizzazioni di polizia, escludendo il loro mutuo riconoscimento con professionisti esteri.
Come è noto, le autorizzazioni di polizia sono disciplinate dal RD n. 773/31 novellato dall’art. 37 della legge n. 388/00.
L’art. 88 del TULPS stabilisce che un’autorizzazione di polizia, che presuppone un certo numero di controlli delle qualità personali e professionali del richiedente, può essere rilasciata, nel settore dei giochi d’azzardo, esclusivamente a coloro che sono già in possesso di una concessione. La normativa italiana prevede, inoltre, sanzioni penali per chiunque proponga al pubblico giochi d’azzardo senza concessione o autorizzazione di polizia.
Queste limitazioni alla libertà di stabilimento e di prestazioni di servizi vanno considerate lecite, ex artt. 43, 45, 46 e 49 CE, perché finalizzate ad interessi imperativi generali (sentenza del 24 gennaio 2013, Stanleybet International e a., C-186/11 e C-209/11) quali la lotta alla criminalità, purché soddisfino il principio di proporzionalità e nella misura in cui i mezzi impiegati siano coerenti e sistematici (v., in tal senso, le citate sentenze Placanica e a., punti da 52 a 55, nonché Costa e Cifone, punti da 61 a 63). Esse costituiscono un mezzo per prevenire l’esercizio delle attività in tale settore per fini criminali o fraudolenti e per contrastare la ludopatia.
Tale autorizzazione di polizia è subordinata al rilascio della concessione statale e, quindi, sono conformi al diritto UE i divieti imposti a chi non ne sia in possesso.
Peraltro, in considerazione della ratio della disciplina nazionale (tesa alla tutela dei consumatori) ed in assenza di un’armonica normativa comunitaria sul gioco d’azzardo, non è consentito il mutuo riconoscimento delle licenze e, pertanto, uno stato membro, nell’ambito della sua discrezionalità, può negare l’esercizio sul proprio territorio al bookmaker estero privo di licenza (v., in tal senso, sentenze dell’8 settembre 2010, Stoß e a., C-316/07, da C-358/07 a C-360/07, C-409/07 e C-410/07, nonché del 15 settembre 2011, Dickinger e Ömer, C-347/09, Racc. pag. I-8185, punti 96 e 99).
In questo senso, da ultimo, si è pronunciato anche il giudice nazionale (Cons. Stato, Sez. III, n. 5676/2013), il quale – richiamando la medesima disciplina evocata dalla parte ricorrente -, ha affermato, tra l’altro, che il sistema concessorio-autorizzatorio imposto dal nostro ordinamento non si pone affatto in contrasto con l’ordinamento comunitario; il che fa venir meno il presupposto giuridico, sostanziale e processuale, su cui si fonda la posizione soggettiva della società estera e, di conseguenza, quella del CTD, che costituisce l’unico oggetto del presente giudizio.
In sostanza, il sistema concessorio-autorizzatorio, nell’ipotesi in cui l’amministrazione dello Stato italiano intenda affidare al mercato tutto o parte del settore delle scommesse, è interamente costruito intorno al soggetto che effettivamente abbia il potere di organizzare e gestire il flusso delle scommesse medesime. Ciò vale anche nell’ipotesi in cui la società estera abbia costituito in Italia una società collegata o affiliata, che a sua volta si avvalga del CTD, in quanto ciò che la norma considera rilevante è la presenza della concessione in capo all’effettivo gestore delle scommesse, che poi a sua volta può avvalersi di altri soggetti. L’eventuale ‘incaricato’ deve, comunque, derivare il potere gestorio, quale che sia, da un soggetto concessionario. In sostanza, l’astratta abilitazione a gestire un segmento del sistema scommettitorio può costituire fonte di pericolo per l’ordine pubblico se non viene abilitato anche l’effettivo gestore, che, solo se appunto abilitato, può avvalersi di autonomi incaricati.
La difesa del centro trasmissioni dati ha insistito sul profilo dell’erroneità e della carenza della motivazione fornita dall’autorità di sicurezza, laddove, nel negare l’autorizzazione, ha fatto unicamente riferimento all’assenza di una concessione, senza individuare in concreto ragioni ostative di ordine pubblico, che nella giurisprudenza comunitaria debbono in concreto sussistere affinché il settore delle scommesse venga attratto nel regime derogatorio di cui agli articoli 45 e 46 del trattato CE.
Il Collegio ritiene, però, che la motivazione fornita dall’autorità di pubblica sicurezza sia congrua ed esaustiva posto che – a fronte di una domanda con cui veniva chiesta l’autorizzazione di polizia – il diniego è stato basato sull’assenza della concessione che è compatibile con l’ordinamento comunitario e costituisce l’unico strumento attraverso il quale risulta individuabile l’effettivo gestore delle scommesse.
In definitiva, la qualità di concessionario costituisce il presupposto imprescindibile per svolgere l’attività in questione, sicché la licenza di polizia può essere rilasciata esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o di altri enti, ai quali la legge riserva la possibilità di svolgere l’attività suddetta.
Nel caso di specie, il diniego è basato proprio sul fatto che né la parte ricorrente, né la citata Società straniera, risultano in possesso di concessione o autorizzazione statale per poter esercitare nel territorio italiano l’attività di scommesse e giochi pubblici aventi ad oggetto eventi sportivi e non, sicché il provvedimento impugnato risulta legittimo.
Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto».
Daniele Majori – Avvocato Amministrativista – Roma
Fonte:www.giustizia-amministrativa.it
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