Appalti pubblici, Contratti pubblici, Corte di giustizia, Unione europea

Il Consiglio di Stato – alla luce della sentenza della Corte di Giustizia, sez. V, 10 ottobre 2013 in causa C-94/12, che ha definitivamente chiarito l’ammissibilità del cd. avvalimento plurimo o frazionato – ritiene che il partecipante ad una gara d’appalto può dimostrare il possesso di un determinato capitale sociale avvalendosi anche di quello di un soggetto ausiliario che si obblighi a tale fine, in quanto la sola funzione del capitale sociale è costituita, ai sensi dell’art. 2325, co. 1, cod. civ., dalla garanzia offerta per il soddisfacimento delle obbligazioni contratte con i debitori della società.

(Consiglio di Stato, sez. V, 9 dicembre 2013, n. 5874)

«Il primo giudice ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto dall’odierna appellante principale avendo accolto il ricorso incidentale proposto dall’aggiudicataria, affermando che l’appellante doveva essere esclusa dalla gara per mancanza dei necessari requisiti di partecipazione.
Tale impostazione non è condivisibile.
L’appellante ha partecipato alla gara nonostante il suo capitale sociale non avesse la consistenza richiesta dal bando di gara ed ha integrato il requisito mediante avvalimento.
L’impresa ausiliaria peraltro non dispone di un capitale sociale della consistenza richiesta, per cui l’avvalimento è stato solo parziale, ed il requisito è stato raggiunto sommando i capitali delle due imprese.
Al riguardo, il primo giudice ha escluso “che il possesso di un determinato capitale sociale sia un mero requisito di natura contabile con funzione di garanzia accessoria rispetto all’adempimento dell’obbligazione principale costituita dalla prestazione offerta, e che, per tale aspetto, tale funzione, essenzialmente fideiussoria, possa essere, quindi, assicurata anche con avvalimento parziale, rilevando, invece, come detto, quale requisito soggettivo di partecipazione che deve essere, comunque, integralmente e autonomamente posseduto almeno dall’impresa ausiliaria proprio in quanto esprimente la effettiva capacità di esecuzione del servizio”.
Osserva il Collegio che la Corte di Giustizia, Sez. V, con sentenza 10 ottobre 2013 in causa C-94/12, ha affermato che “gli articoli 47, paragrafo 2, e 48, paragrafo 3, della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, letti in combinato disposto con l’articolo 44, paragrafo 2, della medesima direttiva, devono essere interpretati nel senso che ostano ad una disposizione nazionale come l’art. 49 c. 6 del d.lgs. 163/06, la quale vieta, in via generale, agli operatori economici che partecipano ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori di avvalersi, per una stessa categoria di qualificazione, delle capacità di più imprese”.
La Corte ha quindi definitivamente chiarito l’ammissibilità del cosiddetto avvalimento plurimo o frazionato, con il quale l’aspirante all’aggiudicazione di un contratto di appalto raggiunge un determinato requisito di partecipazione avvalendosi anche di più soggetti.
L’orientamento della Corte è vincolante per il giudice nazionale, e risulta conforme a quello già espresso da questo Consiglio di Stato, Sezione V, con sentenza 8 febbraio 2011, n. 857, mentre deve essere superato il diverso orientamento espresso da C. di S., VI, 13 giugno 2011 n. 3565.
Le parti resistenti, il cui ragionamento è stato condiviso dal primo giudice, obiettano che il requisito in parola (possesso del capitale sociale di un determinato importo) non è suscettibile di frazionamento fra soggetti diversi in quanto espressione di una solidità sociale attestata, appunto, dalla sua consistenza.
La tesi non può essere condivisa.
La funzione del capitale sociale è costituita, ai sensi dell’art. 2325, primo comma, del codice civile, dalla garanzia offerta per il soddisfacimento delle obbligazioni contratte con i debitori della società.
Qualora, come nel caso di specie, un determinato soggetto emetta una proposta contrattuale a destinatario indeterminato dichiarando di essere disposto a contrattare solo con chi possegga un capitale sociale di un determinato importo minimo manifesta la sua volontà di accettare solo proposte provenienti da chi abbia quel grado di solvibilità, con chi sia, quindi, in grado di garantire i propri creditori nella suddetta misura minima.
Attribuire alla richiesta di un determinato capitale sociale un significato diverso è operazione arbitraria in quanto non sostenuta dal suddetto elemento normativo, sufficiente a scolpire la funzione tipica dello strumento.
Se questo è vero, alla luce del principio, affermato dalla Corte di Giustizia, della normale frazionabilità dell’avvalimento, deve essere affermato che il partecipante ad una gara d’appalto può dimostrare il possesso di un determinato capitale sociale avvalendosi anche di quello di un soggetto ausiliario, che si obblighi a tale fine.
Obiettano ulteriormente le resistenti che l’obbligazione dell’ausiliario avente il suddetto contenuto sarebbe nulla in quanto atto di disposizione del capitale sociale che, come tale, deve essere deliberato dall’assemblea dei soci.
L’osservazione non può essere condivisa in quanto con il contratto di cui si discute gli amministratori della Società ausiliaria non hanno compiuto un atto di disposizione del patrimonio.
Con il contratto in questione la Società ausiliaria ha assunto un’obbligazione di garanzia nei confronti dell’odierna appellante; anche tale obbligazione, come tutte quelle conseguenti all’attività negoziale posta in essere dagli amministratori, è a sua volta garantita dal capitale sociale, che peraltro non è direttamente intaccato.
Quanto alla censura di genericità del contratto, non è dato comprendere che cosa manchi, nel suo contenuto, perché anche il capitale dell’ausiliaria concorra a formare la garanzia richiesta alla partecipante alla gara
».

Daniele Majori – Avvocato Amministrativista – Roma

Fonte:www.giustizia-amministrativa.it

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