(Consiglio di Stato, sez. V, 17 ottobre 2013, n. 5047)
«Il gravame richiama l’art 56 del decreto legislativo n. 29 del 1993, nel testo sostituito dal citato art 25 del decreto legislativo n. 80 del 1998 nonché dalle modifiche apportate dai pure citati art. 15 del decreto legislativo n. 387 del 1998 e art. 52 del decreto legislativo n 165 del 2001; e rileva che la giurisprudenza della Corte di cassazione afferma l’applicabilità, in materia, dei principi generali di cui agli artt. 36 della Costituzione e 2126 del codice civile, escludendo che per il pubblico dipendente il diritto alle differenze retributive per mansioni superiori possa essere riconosciuto soltanto dalla data di entrata in vigore (22 novembre 1998) del citato decreto legislativo n. 387 del 1998, dovendo invece riconoscersi all’art. 15 di quel decreto legislativo portata retroattiva.
Rileva l’appello che la retribuibilità delle mansioni superiori nel pubblico impiego, alla luce della più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sezione V, sentenza 8 maggio 2007, n. 2130), deve trovare riconoscimento nella sussistenza di tre presupposti, tutti necessari: 1) una base normativa che la preveda; 2) l’esistenza in organico di un posto vacante corrispondente alle mansioni che si vanno a svolgere; 3) un atto di incarico ad opera dell’organo competente; e che questi presupposti si adattano perfettamente alla fattispecie in esame, poiché l’appellante ha espletato le mansioni superiori sulla base di provvedimenti dirigenziali e con riferimento a posti vacanti nella pianta organica.
L’appello prospetta altresì l’indebito arricchimento della P.A. sullo svolgimento da parte del lavoratore di mansioni di fatto superiori, che andrebbero dunque adeguatamente retribuite alla luce del dettato costituzionale.
[…]
L’appello non contesta il parziale difetto di giurisdizione rilevato in primo grado quanto alla pretesa relativa alle mansioni svolte nel periodo successivo al 30 giugno 1998; e censura la sentenza del Tar relativamente alla retribuibilità dello svolgimento di mansioni superiori quanto al periodo anteriore. Ed è infondato.
Le pronunce della Corte di cassazione citate dall’appellante (v., per tutte, Cass. Civ,. SS.UU., 11 dicembre 2007, n. 25837) hanno affermato l’efficacia retroattiva dell’art. 15, d.lgs. n. 387 del 1998, rilevando che nel pubblico impiego privatizzato il divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori, stabilito dal decreto legislativo n. 29 del 1993 (art. 56, comma 6, come modificato dal decreto legislativo n. 80 del 1998, art. 25), è stato soppresso dal citato art. 15 del decreto legislativo n. 387 del 1998 con efficacia retroattiva; e che conseguentemente il principio della retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 della Costituzione è applicabile anche al pubblico impiego senza limitazioni temporali.
Sul punto, però, la giurisprudenza amministrativa mantiene ferma la propria diversa e consolidata interpretazione.
Il giudice amministrativo ravvisa da tempo nella riforma contenuta nel decreto legislativo n. 387 del 1998 una valenza innovativa, precisando che nel pubblico impiego il diritto alla retribuzione corrispondente alle mansioni superiori effettivamente svolte è stato introdotto con carattere di generalità, nel rispetto dei precetti costituzionali, dal citato art. 15, d.lgs. n. 387 del 1998, a decorrere dalla sua entrata in vigore (22 novembre1998), con norma avente, appunto, natura innovativa e non ricognitiva o retroattiva, ferma restando la necessità di una determinazione formale dell’Amministrazione e della vacanza del posto in organico.
Sicché prima di quella data del 22 novembre 1998, quando non vi fosse una specifica normativa speciale che disponesse altrimenti, lo svolgimento da parte del pubblico dipendente di mansioni superiori rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento costituiva circostanza irrilevante, oltre che ai fini della progressione in carriera, anche ai fini economici (v., da ultimo, C.d.S., Sez. V, 19 novembre 2012, n. 5852, e le pronunce in essa richiamate).
Nel caso di specie il deducente, pur correttamente ammettendo che la retribuibilità delle mansioni superiori nel pubblico impiego “deve trovare riconoscimento nella sussistenza di tre presupposti, tutti necessari: l) una base normativa che la preveda;2) l’esistenza in organico di un posto vacante corrispondente alle mansioni che si vanno a svolgere; 3) un atto di incarico ad opera dell’organo competente”, indica quella base normativa nei generali principi di cui agli artt. 36 della Costituzione e 2126 e 2103 del Codice civile, non già nella specifica previsione richiesta dall’art. 15 del decreto legislativo n. 387 del 1998, previsione assente nella fattispecie.
Né può condividersi l’assunto dell’appellante di un indebito arricchimento dell’Amministrazione, posto che – come anche per questa tematica affermato da orientamento consolidato e pluriennale di questo Consesso – non è configurabile l’azione di indebito arricchimento prevista dall’art. 2041 cod. civ. nel caso di svolgimento di fatto di mansioni superiori da parte del pubblico dipendente, atteso che, mentre l’azione de qua postula, quale indefettibile presupposto, un’effettiva diminuzione patrimoniale sofferta in conseguenza dei fatti dedotti a sostegno della pretesa, nel caso considerato il dipendente non sopporta alcun depauperamento che lo legittimi all’esercizio dell’azione ex art. 2041, c.c. (v. anche in questo caso, per tutte, la citata sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5852/2012, e le pronunce in essa richiamate)».
Daniele Majori – Avvocato Amministrativista – Roma
Fonte:www.giustizia-amministrativa.it
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