Edilizia e urbanistica, Procedimento amministrativo

Il principio di economicità è valevole non solo a conformare l’attività dell’amministrazione, ma anche come principio di valutazione dei costi dell’attività edilizia in favore dei privati, sicché entrambi gli aspetti devono essere valutati congiuntamente ed in modo dinamico.

(Consiglio di Stato, sez. IV, 24 settembre 2013, n. 4705)

«Osserva la Sezione come [il principio di economicità] sia stato correttamente evocato dal giudice di prime cure come valevole non solo a conformare l’attività dell’amministrazione, ma anche come principio di valutazione dei costi dell’attività edilizia in favore dei privati.
I due aspetti dello stesso tema devono essere congiuntamente valutati. Infatti, qualora il principio venisse inteso in una accezione meramente economica, considerata dal punto di vista della parte onerata della costruzione, verrebbe a perdere ogni utile valenza, atteso che qualsiasi costruzione è in sé onerosa e quindi ogni edificazione si porrebbe in contrasto con una nozione del concetto che si riallacci al mero costo dell’intervento.
Deve quindi affermarsi come l’evocato principio di economicità sia un principio da intendersi dinamicamente, e derivante dall’equilibrio tra le differenti aspettative delle parti, sia quella pubblica, mirante ad una riqualificazione dell’area, che quella privata, tesa al miglior sfruttamento economico dei propri assetti. Pertanto non è il concetto di costo dell’intervento a definire il principio di economicità, ma una valutazione più complessa, che contempli e leghi tutti i diversi utili, privati o pubblici, connessi all’edificabilità riconosciuta dalla previsione urbanistica. In sintesi, il concetto è reso al meglio quando si faccia riferimento alla redditività della trasformazione, ossia alla proiezione futura degli esiti dell’intervento in termini di vantaggi per le parti coinvolte.
Inteso in tal modo, la lettura data dal giudice di prime cure, sebbene stringata, non appare errata, atteso che lo stesso si è limitato a evidenziare come l’economicità vada sempre osservata facendo perno sulle posizioni contrapposte delle parti.
4. – In tal senso, perde rilievo la pur interessante regolazione di tali profili datasi dall’amministrazione, in sede di redazione del regolamento urbanistico, e dove viene costruito un metodo di oggettivazione della redditività degli interventi edilizi in rapporto alla progettazione dei distretti urbani.
Nella “Relazione sui criteri di determinazione e verifiche di fattibilità degli indici di utilizzazione (perequazione urbanistica)” del regolamento, viene infatti:
a) chiarita la funzione del concetto di perequazione urbanistica, inteso come meccanismo che rende le trasformazioni contenute negli strumenti della pianificazione attuabili dal punto di vista economico, sia per gli enti locali, sempre più impossibilitati a sostenere le spese per l’acquisizione delle aree necessarie per la collettività, sia per i proprietari delle stesse aree, precisando che questo mira a rendere disponibile il soggetto privato a cedere gratuitamente le aree necessarie a garantire un benefico sviluppo della comunità urbana, in cambio di diritti edificatori;
b) individuata la spinta per il funzionamento del sistema, che è data dall’equilibrio tra convenienza pubblica e convenienza privata;
c) costruito un meccanismo di verifica di tale equilibrio, dato da un’analisi di tipo economico – finanziario, articolata in tre fasi successive, e dove:
– in primo luogo, si procede all’attribuzione di un indice di edificabilità convenzionale al privato, come riconoscimento del proprio ristoro alla trasformazione da attuarsi. In dettaglio, l’indice è correlato, tra l’altro, al valore di mercato degli immobili, desunto dall’analisi di mercato effettuata su microzone, ed al valore medio dell’indice di utilizzazione territoriale delle aree limitrofe, poiché i valori di mercato delle aree non ancora edificate si differenziano in ragione del fattore posizionale;
– in secondo luogo, avviene il calcolo delle grandezze fondamentali da adoperarsi nella valutazione economica della trasformazione urbanistica, dove le citate grandezze fondamentali sono: l’indice di edificabilità territoriale (rappresenta la superficie utile lorda massima realizzabile per ogni metro quadrato di superficie territoriale, il cui rapporto è espresso in mq/mq), la percentuale di ogni singola destinazione d’uso, le superfici compensative (parti di superficie di distretto urbano che vengono cedute a titolo gratuito alla pubblica amministrazione, quale contropartita del diritto edificatorio riconosciuto al privato sull’intera superficie del distretto) e la loro utilizzazione, l’incidenza dei contributi di costruzione e delle opere di urbanizzazione, gli ulteriori oneri a carico dei privati, il ricavo dalla vendita del realizzato;
– in terzo luogo, si passa all’analisi economica dei distretti, per verificare la convenienza economica della trasformazione.
La disamina appena condotta evidenzia una notevole e apprezzabile accuratezza dell’amministrazione nell’individuare le direttrici della propria azione e nel rendere trasparenti le proprie scelte urbanistiche.
Ciò tuttavia non infirma il discorso sopra svolto sulla necessità che la valutazione di economicità competa anche e soprattutto al privato, e che non sia possibile trasformare la stima del Comune in un fatto cogente per il privato. Osserva, infatti, la Sezione che la regolamentazione edilizia è tesa a disciplinare un’attività che, seppure pesantemente conformata, è sempre l’esplicazione di un diritto del privato, ed è in capo a questi deve sempre rimanere un margine di libertà, fosse anche nel solo senso di rinunciare all’intervento programmato
».

Daniele Majori – Avvocato Amministrativista – Roma

Fonte:www.giustizia-amministrativa.it

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