(Consiglio di Stato, sez. III, 12 febbraio 2013, n. 842)
«Per una miglior comprensione della situazione di fatto, preme al Collegio far presente che la Società appellata, dopo il citato preliminare di ATI con un’impresa terza, ha poi proposto istanza di partecipazione, appunto in raggruppamento “sovrabbondante” con tale imprese almeno per un lotto, alla gara per cui è causa. Allo stato, sul lotto de quo, il seggio di gara, dopo l’esame della documentazione amministrativa, ha ammesso l’ATI sovrabbondante alle ulteriori fasi della procedura medesima.
Ciò posto, l’appello della Regione è meritevole di condivisione e va accolto, per le ragioni ed con i limiti qui di seguito indicati.
4. – Ora, il Collegio non ritiene di poter seguire la tesi dell’appellante in ordine all’insufficienza della dimostrazione, da parte della predetta Società, d’un interesse qualificato all’impugnazione immediata della clausola in questione.
A tal riguardo, a fronte della prospettazione di primo grado sull’efficacia immediatamente escludente della clausola de qua, la Società appellata ha inteso dare un principio di prova sul proprio interesse all’impugnazione, partendo proprio dalla volontà di partecipare alla gara in ATI sovrabbondante. La Sezione ha avuto modo di precisare sul punto (cfr. Cons. St., III, 11 giugno 2012 n. 3402, resa su vicenda consimile) come, a fronte d’una clausola non ictu oculi preclusiva alla partecipazione, l’impresa, già in sé qualificata ma che volesse fornire una offerta in ATI “sovrabbondante”, dovesse chiarire che, avuto riguardo allo specifico oggetto dell’appalto, solo tal forma di aggregazione le desse una seria chance di positivo risultato. Nella specie, la Società appellata, che, si badi, non era certo onerata a produrre un progetto di offerta per dimostrare il purpose of business da perseguire con l’ATI sovrabbondante, s’è sì limitata a depositare in atti il preliminare di ATI, ma ciò non è manifestamente insufficiente, servendo già a far comprendere la volontà di partecipazione come tale e nella forma aggregativa preferita. Tal sufficienza ben si può evincere sia dal concreto comportamento di buona fede delle parti nell’esecuzione di detto accordo, sia dall’intento effettivamente perseguito nel partecipare in siffatta aggregazione alla gara de qua, sia dalla circostanza che l’impugnata clausola di non ammissione delle predette ATI non consente, in assenza d’una norma imperativa conforme e di principi solidi da cui desumerla in via d’interpretazione, alcun automatismo in danno alle imprese partecipanti.
5. – Per le ragioni spiegate è, dunque, erroneo l’assunto da cui parte l’impugnazione di primo grado e che il TAR ha inteso accogliere.
Il Collegio osserva che la clausola in parola, nel riferirsi a pronunciamenti dell’AVCP sui possibili effetti anticoncorrenziali della partecipazione a gara delle ATI sovrabbondanti, assolve appunto a tal funzione, discendente dall’obbligo della stazione appaltante d’assicurare la maggior concorrenzialità possibile nella specifica procedura di gara.
Ma, come rettamente osserva la Regione appellante, un divieto di tal tipo di ATI non è posto in assoluto, né sarebbe legittimamente possibile, stante l’evidente favor del diritto comunitario alla partecipazione alle gare ad evidenza pubblica anche dei soggetti riuniti, al di là della forma giuridica di tale loro aggregazione. Il divieto, come d’altronde ogni limite quantitativo all’ingresso di operatori in un dato mercato competitivo, anche regolato, serve a garantire che non si verifichi un’indebita, sproporzionata o irragionevole compressione della concorrenza nella specifica gara. Di converso, il divieto va interpretato secondo gli ordinari canoni di valutazione di coerenza della fonte con le regole ed i principi costituzionali e comunitari, ossia precludendo siffatta partecipazione con riguardo alle evidenze del mercato proprio dell’appalto e nei soli limiti in cui ciò è necessario. Da ciò discende il carattere non immediatamente escludente della clausola, a nulla rilevando che la Società appellata la intenda in modo differente, giacché non v’è evidenza, né a priori, né a seguito dell’effettiva partecipazione di essa alla gara nella forma aggregativa prescelta, che l’ATI sovrabbondante stia creando un’aggregazione anticoncorrenziale.
Pertanto, se è in sé legittima l’inserzione della citata clausola nel bando, negli ovvi limiti della proporzionalità e della ragionevolezza, la relativa applicazione, per esser reputata legittima, non può mai prescindere dal concreto accertamento dell’effetto anticoncorrenziale che quella e solo quella ATI sovrabbondante possa produrre in quella ed in quella singola procedura di gara».
Daniele Majori – Avvocato Amministrativista
Fonte:www.giustizia-amministrativa.it
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