Atto amministrativo, Giustizia amministrativa

Le mere “risposte di cortesia” dell’Amministrazione non sono impugnabili e non riaprono i termini processuali per l’impugnazione degli atti pregressi non impugnati.

(Consiglio di Stato, sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 24)

«L’asserita portata lesiva della “nota “ del 2007 impugnata in primo grado, invero, con riferimento al “caso” paventato dalla odierna appellante anche nel ricorso in appello appare del tutto insussistente.
1.3. Deve a tale proposito rimarcarsi che è incontestabile che la evoluzione della disciplina normativa regolatrice della scansione procedimentale amministrativa abbia impresso una significativa spinta propulsiva agli istituti partecipativi (preavviso di rigetto, obbligo di motivazione sulle memorie ed istanze del privato, parificazione del modulo privatistico a quello autoritativo, etc costituiscono soltanto alcune delle principali tappe di tale evoluzione): sempre più di frequente ci si trova al cospetto di moduli procedimentali “disegnati” – anche dalle discipline regolamentari e di dettaglio – in modo da attribuire sempre maggiore spazio alla fase della interlocuzione del privato con l’amministrazione e, comunque, con sempre maggiore frequenza si assiste ad un serrato “dialogo” del privato con i pubblici poteri teso a rappresentare a questi ultimi le circostanze di fatto e giuridiche da tenere presenti nella strutturazione del contenuto essenziale della manifestazione provvedimentale.
Ciò costituisce salutare progresso, anche e soprattutto in quanto (almeno in teoria) concorre a disinnescare in partenza possibili contrasti tra le parti idonei a sfociare in un contenzioso giurisdizionale.
1.4. Nessuno ha mai dubitato, però, della circostanza che un carteggio intrattenuto con l’Amministrazione ed una risposta eventualmente fornita da questa ad una richiesta del privato, perdipiù formulata in termini non immediatamente “operativi”, ma maggiormente intesa a “sondare” quale possa essere l’intendimento dell’Amministrazione stessa su una certa problematica non possa costituire manifestazione deliberativa ex se lesiva e, in quanto immediatamente pregiudizievole per gli interessi del privato immediatamente impugnabile.
1.4.1. Al contempo, pur a fronte della richiamata evoluzione in senso “partecipativo” – e consapevole del rischio di una incontrollata proliferazione di impugnazioni pur a fronte di atti promananti dall’Amministrazione privi di contenuto provvedimentale- la giurisprudenza amministrativa ha condivisibilmente continuato a predicare il principio per cui condizione per proporre il ricorso è che l’atto gravato abbia natura lesiva, e che ciò discenda dal contenuto provvedimentale dello stesso.
Nei casi dubbi, indici di tale natura si rinvengono “nella sussistenza di una fase procedimentale, la necessità di una motivazione nonché l’indicazione della ricorribilità, ovvero dei rimedi proponibili avverso tale nota, ne rendono palese la natura provvedimentale e, pertanto, nei suoi confronti è ammissibile il ricorso giurisdizionale.” (Cons. Stato Sez. VI, 03-05-2010, n. 2514 ).
Di converso, si è sempre affermato, in giurisprudenza (e la fattispecie si attaglia a perfezione alla vicenda per cui è causa) che non può essere “considerato quale provvedimento impugnabile una nota che rappresenta una mera risposta ad istanza dello stesso ricorrente, puramente ricognitiva e confermativa di circostanze passate: essa non è idonea come tale a costituire oggetto di valida impugnazione.” (T.A.R. Campania Napoli Sez. III, 10-01-2005, n. 40 ).
1.5. Per più ordine di ragioni, ritiene il Collegio che la sentenza gravata abbia esattamente applicato i suindicati principi
[…]
[…]: la “richiesta” era generica e peraltro esprimeva un futuro proposito (quello di sottoporre all’amministrazione “talune proposte ed ipotesi operative, anche alla luce del recente innovato quadro giuridico comunitario di riferimento ) non meglio esplicitato, neppure in termini embrionali (di guisa che l’eventuale risposta “favorevole” non avrebbe potuto avere alcun altro contenuto che quello, interlocutorio, di invitare l’istante a precisare meglio, in futuro, le dette proposte, neppure accennate).
La “risposta” non esprimeva alcuna rinnovata manifestazione di volontà, ma si limitava ad esporre quale fosse lo stato giuridico del rapporto concessorio, senza che nella stessa fosse ravvisabile alcun elemento innovativo, originale, o “nuovo”: ne deriva che essa, in quanto a tutto concedere puramente ricognitiva e confermativa di circostanze passate (e comunque determinabili in sede di altro contenzioso pendente) non era idonea come tale a costituire oggetto di valida impugnazione
1.6.3. Sotto altro profilo, la avversata “risposta” neppure scaturisce da una rinnovata istruttoria ovvero riponderazione degli interessi rappresentati dall’odierna appellante: alla detta nota in quanto priva di tale requisiti non poteva pertanto attribuirsi connotato provvedimentale ed esattamente il primo giudice ha dichiarato il gravame inammissibile.
Si rammenta in proposito che già in passato questo Consiglio di Stato ha avuto modo di escludere che le mere “risposte di cortesia” dell’Amministrazione, rese a seguito di richieste a loro indirizzate possano integrare la nozione di “atto impugnabile”, ovvero valere a riaprire i termini processuali per la impugnazione degli atti pregressi rimasti in impugnati (Cons. Stato Sez. VI, 27-02-2006, n. 826, “Poiché la nota del presidente dell’A.R.S.S.A. con la quale è stata respinta la domanda del dipendente, di inquadramento nell’VIII qualifica funzionale, si risolve in una risposta di cortesia, volta a ribadire ad un soggetto dotato di specifica professionalità, su invito di quest’ultimo, le ragioni del diniego di reinquadramento già chiarite, nella loro essenza, all’interessato, tale atto, non avendo valenza autonomamente lesiva, non può considerarsi idoneo a riaprire il termine di legge, per l’impugnazione, ormai consumato.”. Nella motivazione della detta decisione, cui si fa rinvio, si ha cura di precisare, tra l’altro, che “Il diniego in realtà, non risulta conseguente ad alcuna rinnovata istruttoria, per la quale, del resto, neppure sussistevano i presupposti, dal momento che l’atto di diffida si era limitato a riprodurre, pedissequamente, l’elencazione delle mansioni già contenuta nella prima istanza, senza sottoporre alla valutazione dell’Amministrazione alcun elemento nuovo.”)
Conclusivamente,tale articolazione del gravame va certamente disattesa
».

Daniele Majori – Avvocato Amministrativista

Fonte:www.giustizia-amministrativa.it

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