(Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 20 novembre 2012, n. 1120)
«La disciplina inerente la risarcibilità del cosiddetto “danno da ritardo”, già prevista dall’art. 2-bis, I° comma, della legge 7.8.1990 n. 241, introdotto dall’art.7, I° comma, lett. c), della legge 18.6.2009 n. 69 (“Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”) è stata completata attraverso le previsioni del codice del processo amministrativo: artt. 30, 117 e 133, I° comma, lett. a), n. 1.
In particolare, l’art. 30, II° comma, cpa, recita: “ Può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria”.
Il riconoscimento della responsabilità della pubblica amministrazione, per tardivo esercizio della funzione amministrativa, postula, oltre alla mera constatazione della violazione dei termini del procedimento, anche: 1) l’accertamento che l’inosservanza delle cadenze procedimentali sia imputabile a colpa o dolo dell’amministrazione medesima; 2) che il danno lamentato sia conseguenza diretta ed immediata del ritardo dell’amministrazione.
Secondo un orientamento giurisprudenziale, il tempo va considerato un bene della vita per il cittadino, per cui il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento costituisce sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica (conf.: C.G.A. 4.11.2010 n. 1368, che, traendo argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno sussisterebbe anche nel caso di mancata conclusione del procedimento autorizzatorio ed anche in ipotesi negativa).
Ritiene il Collegio che la tutela risarcitoria non possa essere accordata in relazione alla mera “perdita di tempo” , poiché, pur dovendosi riconoscere al fattore “tempo” certamente il valore di un bene della vita meritevole di autonoma dignità e tutela, occorre, tuttavia, cercare un ulteriore fattore, costituito dalla lesione di un “quid pluris” , cioè di un bene giuridicamente protetto, collegato al primo mediante un nesso causale (fatto/ lesione).
Ad avviso del Collegio, il cosiddetto risarcimento da ritardo, avente natura aquiliana, ai sensi dell’art. 2043 cc,presuppone anche l’accertamento della spettanza, in capo al richiedente, del cosiddetto “bene della vita”, per l’ottenimento del quale è stato avviato il procedimento amministrativo, in considerazione del tenore dell’art. 2697 c.c., recepito anche dall’art. 64 c.p.a., in base al quale “chi vuol far valere un diritto in giudizio, deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento” (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. V, 27.4.2012 n. 2449; TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 15.6.2012, n. 1689; TAR Basilicata, 16.5.2012 n. 210).
Conseguentemente, la risarcibilità del danno, derivante da una colpevole inerzia nella definizione del procedimento attributivo di utilità finali, il cosiddetto “comportamento amministrativo”, postula l’assolvimento, da parte del danneggiato, dell’onere della prova ex art. 2967 c.c. e 115, I° comma, c.p.c., in relazione a tutti gli elementi costitutivi della pretesa, quali, la sussistenza dell’evento dannoso, l’ingiustizia del danno, il nesso di causalità con la condotta negativa dell’Amministrazione e la colpa dell’inerzia, poiché la particolare complessità della fattispecie od il sopraggiungere di evenienze non imputabili all’amministrazione potrebbero escludere la sussistenza della colpa ( ex plurimis: TAR Veneto, Sez. I, 29.01.2010, n. 197; Cons. Stato, Sez. VI, 6.5.2008 n. 2015; T.A.R. Campania- Napoli Sez III 31.10. 2007 n. 10329; T.A.R. Puglia- Lecce, Sez III 22.2.2007 n. 623).
In tale ottica, il risarcimento del danno, conseguente a lesione di interesse legittimo pretensivo, va subordinato, pur in presenza di tutti i requisiti dell’illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso), alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico formulato ex ante, che l’aspirazione al provvedimento fosse destinata ad esito favorevole, quindi alla dimostrazione, ancorché fondata con il ricorso a presunzioni, della spettanza definitiva del bene collegato a tale interesse, al fine di comprendere, secondo una prognosi ex post, se quello specifico ritardo abbia costituito o meno la causa efficiente della perdita del beneficio altrimenti conseguibile (conf.: T.A.R. Lazio-Roma, Sez. III, 15.5.2012 n. 4382; Cons. Stato, Ssez. V 3.5.2012, n. 2535; T.A.R. Lombardia- Milano, Sez. II, 3.5.2012 n. 1252)».
Daniele Majori – Avvocato Amministrativista in Roma
Fonte:www.giustizia-amministrativa.it
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