(Tar Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 15 marzo 2012, n. 168)
«I ricorrenti hanno dunque richiesto la restituzione dei suoli ovvero il ristoro integrale in caso di acquisizione della proprietà in capo all’Amministrazione, in ogni caso con il risarcimento per l’illegittima occupazione tuttora perdurante.
III.3) Il Collegio rileva che indubbio risulta, nel caso in esame, il comportamento illecito della pubblica amministrazione che, a seguito della scadenza dei termini di occupazione d’urgenza e stante il mancato perfezionamento del procedimento di esproprio, detiene sine titulo i terreni di parte ricorrente sui quali ha proceduto a far realizzare opere di pubblica utilità, così come è indubbia l’esistenza di un ingiusto pregiudizio in capo ai privati che hanno perso la disponibilità dei suoi immobili.
Acclarata l’impossibilità di legittimare l’istituto dell’accessione invertita (cfr. Cons.di Stato, Sez.IV, n.5830/2007, n.2582, ex pluris), dovendosi escludere, per quanto sopra detto, che la mera trasformazione irreversibile di un suolo con la realizzazione di un’opera pubblica costituisca circostanza idonea a trasferire in capo all’Amministrazione la proprietà delle aree in assenza di un regolare provvedimento di esproprio, e ciò sia nel caso di occupazione del terreno ab origine sine titolo sia nel caso di un’occupazione iniziata in forza di un provvedimento legittimo poi scaduto (cfr. sentenze CEDU nei casi Scordino/Italia, Belvedere Alberghiera c/Italia, Prena c/Italia), resta confermato che il comportamento della Pubblica Amministrazione costituisce, ancora allo stato, un illecito permanente, dal quale consegue l’obbligo, alternativamente, di far cessare la illegittima compromissione del diritto di proprietà mediante la richiesta restituzione ovvero mediante il ristoro per equivalente configurabile come corrispettivo dell’eventuale definitivo trasferimento della proprietà (ancora a disporsi) in base a titolo legittimante tale effetto, oltre al risarcimento del danno, comunque dovuto per l’illegittima occupazione persistente all’attualità.
III.4) La mancanza di un titolo allo stato legittimante il possesso per effetto della intervenuta scadenza/inefficacia del decreto di occupazione fa dunque conseguire l’obbligo dell’attuale detentore alla restituzione dei suoli oggetto di diritto di proprietà secondo le modalità e con gli effetti della ordinaria normativa civilistica (cfr., in particolare, artt. 936 C.C.).
L’obbligato a tale restituzione è chi materialmente detiene allo stato i suoli, e cioè l’intimata ASL, cui è imputabile allo stato la lesione lamentata.
III.5) La richiesta risarcitoria (connessa alla definitiva perdita della proprietà dei beni) evidentemente assumerebbe rilievo solo per effetto della mancata restituzione, in ogni caso con salvezza degli ulteriori danni patiti per l’illegittima occupazione.
Responsabile di tale obbligazione, che allo stato deve qualificarsi alternativa alla restituzione, è l’Amministrazione cui andrà eventualmente intestata la proprietà dei beni e cioè ancora la A.S.L. intimata, che potrà eventualmente farsi manlevare, ove dovessero ricorrerne i presupposti formali e sostanziali (accordi in tal senso, finanziamenti, ecc.), dalle altre Amministrazioni coinvolte variamente nel procedimento.
Ai fini della eventuale quantificazione del danno, il momento iniziale dell’illecita occupazione (che coincide, per quanto sopra detto, con il termine finale dell’occupazione d’urgenza) rileva solo ai fini del risarcimento per illegittima occupazione ma non già per la determinazione del valore dell’immobile, che va comunque determinato all’attualità, stante il carattere permanente dell’illecito medesimo, che cessa soltanto, come già detto, con la rimozione dell’illecita detenzione ovvero con l’integrale ristoro dei proprietari.
Va invero ribadito che la natura, illecita, dell’occupazione comporta che il danno vada risarcito per intero e commisurato al valore venale del bene (cfr. sentenze CEDU sopra citate), ancora una volta all’attualità.
III.6) Dal punto di vista dell’Amministrazione, la perdurante occupazione e la mancata disponibilità finora dimostrata nei fatti alla restituzione, presupporrebbe la permanente necessità di utilizzare i beni in questione, il che giustificherebbe l’emanazione del decreto di acquisizione sanante prevista nell’art. 42-bis del D.P.R. n.327/2001.
Detta disposizione, sul presupposto che la perdita della proprietà non possa collegarsi se non ad un atto di natura contrattuale o autoritativa, attribuisce, com’è noto, all’Amministrazione, qualora si sia verificata una sostanziale perdita della disponibilità del bene in capo al privato, il potere di acquisire la proprietà dell’area con un atto formale di natura ablatoria e discrezionale (in sostanziale sanatoria, appunto), al termine del procedimento legale nel corso del quale vanno motivatamente valutati gli interessi in conflitto.
Secondo l’art. 42-bis citato, la proprietà del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità in capo alla P.A. consegue dunque non già all’affermazione di una situazione di fatto conclamata (secondo la risalente ma non più giuridicamente accettabile teorica della c.d. occupazione “appropriativa) ma solo all’emanazione del decreto di acquisizione sanante, che costituisce un atto discrezionale con effetti ex nunc, emesso però nel rispetto del principio di legalità e delle condizioni legislativamente previste, e come tale ed entro tali limiti rispettoso anche dalla giurisprudenza CEDU.
Con tale disposizione è stata consapevolmente introdotta, nel sistema, una norma di chiusura non solo per attribuire all’Amministrazione il potere di dare a regime una soluzione al caso concreto quando gli atti del procedimento divengano inefficaci per decorso del tempo o siano annullati dal giudice amministrativo, ma anche per rimuovere il precedente contrasto sussistente tra la prassi interna (amministrativa e giudiziaria) e la Convenzione europea.
In conclusione, affinché possa perfezionarsi il trasferimento della proprietà del fondo occupato sine titulo, su cui è stata realizzata un’opera pubblica, e che costituisce, deve ancora precisarsi, la sola condizione legittimante la mancata restituzione, è necessario che l’Amministrazione si avvalga dell’art. 42-bis del T.U. Espropri, fatto sempre salvo il ricorso alternativo ai possibili strumenti di natura privatistica.
In caso contrario, come detto, vi sarebbe il perpetuarsi di un’occupazione sine titulo dell’area, che rappresenta un illecito permanente.
III.7) Il richiamato art. 42-bis del testo unico espropriazioni, introdotto dall’articolo 34, comma 1 legge n.111 del 2011, titolato “Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico” testualmente sancisce che “1. Valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfettariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene….3. Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità, e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell’articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7; per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del provvedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma. 4. Il provvedimento di acquisizione, recante l’indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area e se possibile la data dalla quale essa a avuto inizio, è specificatamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione; nell’atto è liquidato l’indennizzo di cui al comma 1 e ne è disposto il pagamento entro il termine di trenta giorni. L’atto è notificato al proprietario e comporta il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute ai sensi del comma 1, ovvero del loro deposito effettuato ai sensi dell’articolo 20, comma 14; è soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’amministrazione procedente ed è trasmesso in copia all’ufficio istituito ai sensi dell’articolo 14, comma 2”.
L’art. 42-bis riserva, dunque, a livello di diritto positivo, unicamente alla valutazione discrezionale della P.A. la decisione di emettere il decreto di acquisizione sanante, e, per converso, la mancanza di tale decreto comporta la perdurante sussistenza del diritto di proprietà in capo ai soggetti incisi.
Per quanto sopra detto, va ribadito, la proprietà dei fondi è tuttora in capo ai ricorrenti anche se gli stessi non ne hanno, allo stato, la possibilità di utilizzo.
III.8) Sino al momento in cui interverrà il passaggio di proprietà delle aree in capo all’Amministrazione, a mezzo del suindicato strumento autoritativo (il decreto di cui all’art. 42-bis T.IU. espropri), ovvero con altro strumento privatistico rimesso alla consensuale libera autonomia delle parti, il danno subito dai privati è tuttora da individuarsi nella permanente occupazione sine titulo dell’area con conseguente perdita della sua disponibilità.
Nel caso in cui l’Amministrazione decidesse di restituire le aree, dunque, non farebbe altro che far cessare (ovviamente ex nunc) la situazione illecita causativa del danno e sarebbe comunque tenuta al risarcimento per il periodo di occupazione sine titulo sino al momento della restituzione del bene.
Ove invece l’Amministrazione ritenesse la necessità di continuare ad utilizzare i fondi in questione, dovrebbe legittimamente acquisirli o mediante lo strumento autoritativo richiamato (con le conseguenze patrimoniali indicate) ovvero con gli ordinari strumenti privatistici con il consenso dei privati anche in relazione ai corrispettivi patrimoniali ad acquisirsi.
III.9) Acclarato, per tutto quanto precede, l’an della responsabilità dell’Amministrazione, e tenuto conto che occorre che quest’ultima prenda specifica posizione in ordine alla scelta, discrezionale, se mantenere la disponibilità delle aree mediante uno degli strumenti sopra indicati, ovvero restituire le stesse ai proprietari in pristino stato, con le alternative conseguenze meglio sotto illustrate, sembra opportuno fare ricorso allo strumento previsto ai sensi dell’art. 34 comma 4, del D.Lg.s n.80/98, con i criteri che verranno di seguito dettati, e con gli effetti conformativi conseguenti.
Va doverosamente rilevato come, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n.349/2007, abbia perso rilevanza qualsiasi questione sulla possibile applicazione, al caso di specie, del criterio liquidatorio previsto dall’art. 5 bis comma 7 bis della legge n.359/1992 e dell’originario testo dell’art. 55 del T.U. n.327/2001, il cui contenuto precettivo è venuto meno.
La predetta sentenza della Corte ha infatti dichiarato illegittimo l’art. 5 bis del d.l.11 luglio 1991, n.333 nella parte in cui non prevede “un ristoro integrale del danno subito per effetto dell’occupazione acquisitiva da parte della pubblica amministrazione, corrispondente al valore di mercato del bene occupato”; nel caso di domanda di risarcimento del danno derivante da c.d. occupazione acquisitiva, avanzata da un privato nei confronti della P.A., al fine di ottenere il ristoro della privazione della proprietà privata, la quantificazione del danno medesimo deve essere invece effettuata sulla base del valore di mercato degli immobili interessati all’occupazione.
Tale principio ha trovato riconoscimento nel nuovo testo dell’art. 55 del D.P.R. n.327/2001, secondo cui anche “nel caso di utilizzazione di un suolo edificabile per scopi di pubblica utilità, in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio dalla data del 30 settembre 1996, il risarcimento del danno è liquidato in misura pari al valore venale del bene”.
La commisurazione del risarcimento del danno, anche eventualmente in sede di provvedimento di acquisizione ex art. 42-bis DPR.327/2001, dovrà dunque essere commisurata al valore venale del bene, come del resto nello stesso articolato espressamente previsto.
A questi fini potrà essere posta, come base di valutazione, la quantificazione desumibile da atti pubblici di acquisto per suoli consimili rinvenibili presso pubblici Uffici, ovvero da dati catastali aggiornati, disponibili presso la P.A. ovvero acquisiti dai ricorrenti, tenuto conto del fatto che, secondo la richiamata giurisprudenza della CEDU, il danno deve essere parametrato all’”attuale” valore di mercato dei beni illecitamente appresi (posto che la permanente titolarità del diritto comporta anche la permanenza della lesione all’attualità), in relazione al quale non possono più aver rilievo le pregresse destinazioni di zona.
L’unico criterio utilizzabile risulta essere dunque quello del valore venale delle aree, cui dovrà essere aggiunto il danno subito dalla residua proprietà, ove accertato e tuttora sussistente, quantificabile secondo le medesime modalità.
L’illegittima occupazione a far data dal 2002 (a tre anni dall’occupazione intervenuta nel 1999) va invece risarcita tenendo come riferimento il 5% annuo del valore venale come sopra quantificato, come ancora puntualmente previsto dal già richiamato art. 42-bis T.U. espropri».
Daniele Majori – Avvocato Amministrativista in Roma
Fonte:www.giustizia-amministrativa.it
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