(Tar Lombardia, Milano, sez. I, 17 marzo 2014, n. 679)
«Il Collegio ritiene che tale comportamento illecito [la mancata celebrazione di una gara pubblica] sia astrattamente idoneo a produrre un danno risarcibile in capo alle imprese che avrebbero potuto partecipare alla gara che l’Amministrazione avrebbe dovuto indire.
Invero, l’interesse sostanziale che deve risultare leso affinché la mera illegittimità del provvedimento si trasformi in illiceità rilevante ai sensi dell’art. 2043 c.c. non si identifica esclusivamente nella situazione di spettanza del “bene finale”, ma può coincidere anche con la possibilità di conseguire un risultato favorevole (cd. perdita di chance) che la mancata osservanza della legge abbia fatto venir meno.
La difesa della Amministrazione eccepisce, tuttavia, che, nel caso di specie, il riconoscimento di un pregiudizio risarcibile sarebbe impedito dalla impossibilità di dimostrare – e comunque alla mancata dimostrazione da parte [della ricorrente] – che, in caso di partecipazione alla gara, l’impresa pretermessa avrebbe avuto più del 50% delle possibilità di conseguire l’aggiudicazione.
Il Collegio non ignora che sul tema della consistenza della chance risarcibile si fronteggiano orientamenti giurisprudenziali non univoci.
Secondo un primo indirizzo, al quale fa riferimento la difesa [dell’Amministrazione], la chance risarcibile si identificherebbe con una probabilità di successo (nella specie, di vedersi aggiudicato l’appalto o di vincere il concorso) almeno superiore al 50%, restando, viceversa irrilevanti possibilità di successo statisticamente meno significative (T.A.R. Napoli, sez. I, 26 ottobre 2011, n. 4976; T.A.R. Veneto, I 26.6.2006, n. 1910; nello stesso senso cfr. Consiglio di Stato, VI, 7.2.2002, n. 686; T.A.R. Lazio, I, 29.4.2005, n. 3218; T.A.R. Basilicata, 10.5.2005, n. 297).” (così T.A.R. Liguria, Sez. II, 13 marzo 2007 n. 483).
Un diverso indirizzo, sempre al fine di distinguere la chance risarcibile dalla mera eventualità, non ritiene rilevante il dato meramente statistico e probabilistico, ma richiede all’attore la prova della efficienza causale di alcuni elementi della fattispecie concreta rispetto al risultato favorevole, onerando, ad esempio, il concorrente che abbia partecipato ad un concorso poi annullato per vizi di legittimità della dimostrazione che i titoli da egli posseduti sarebbero stati tali da sopravanzare quelli dei concorrenti (Cass. 3 marzo 2010, n. 5119).
In tale prospettiva, la determinazione della chance risarcibile non viene a dipendere dal fattori statistici, ma da fattori di tipo eziologico (con la conseguenza che nelle controversie ove la chance si correla all’esito favorevole di una competizione non assume rilevanza il dato statistico del numero dei partecipanti, ma quello contenutistico, dovendo dimostrare l’attore – pur senza dare prova di certezza – che i titoli posseduti o le caratteristiche dell’offerta presentata lo avrebbero messo in condizioni di vincere).
Nella fattispecie in esame, tuttavia, ai fini della determinazione della chance non paiono al Collegio applicabili né il criterio eziologico né quello statistico, che impone la dimostrazione della sussistenza di una probabilità superiore al 50%.
Il criterio eziologico viene, infatti, in aiuto solo nelle situazioni in cui la decisione, con la quale il procedimento è destinato a concludersi e dalla quale dipende l’eventuale vantaggio del danneggiato, si fondi su una serie di elementi predeterminabili a posteriori sulla base di criteri razionali e controllabili ancorché non univocamente convergenti verso un unico possibile risultato (ad es. l’esito di una lite o il giudizio tecnico di una commissione). In tali ipotesi è del tutto ragionevole il ripudio della nozione di chance quale mera possibilità di successo, potendo e dovendo il ricorrente ricostruire a posteriori la catena degli eventi che, nella sua prospettazione, avrebbe potuto condurre al conseguimento del risultato sperato (ad esempio dimostrando di avere titoli che avrebbero potuto essere ritenuti superiori a quelli posseduti dagli altri candidati o di aver presentato un offerta tecnica che avrebbe potuto prevalere sulle altre: in questi casi la mancanza di certezza da cui trae origine la nozione di chance non deriva, quindi, dall’impossibilità di ricostruire a posteriori una plausibile sequenza causale, ma dalla opinabilità dei parametri tecnici di riferimento).
Nel caso in cui la chance dipenda dalla mancata indizione di una gara, tuttavia, appare del tutto impraticabile una ricostruzione razionale (ancorché opinabile) di quale sarebbe potuto essere lo scenario qualora l’amministrazione avesse operato nell’ambito della legalità, attesa la impossibilità di conoscere a posteriori le offerte con cui quella del ricorrente avrebbe dovuto confrontarsi.
In tali ipotesi non può quindi in alcun modo essere data la dimostrazione (eziologica) che la negata possibilità di partecipare si sarebbe tradotta in probabilità di vittoria.
Né a tal fine può soccorrere il metodo statistico, non solo per la difficoltà di stabilire a priori quante imprese avrebbero potuto partecipare (che, nel caso di specie, appare superabile), ma anche perché è lo stesso contenuto della posizione soggettiva lesa che ha come suo epicentro la possibilità di concorrere (tutelata prima di tutto a livello comunitario), la cui compromissione rimane uguale a prescindere dal numero dei potenziali concorrenti.
Il Collegio non ritiene, perciò, di condividere l’affermazione secondo cui, in caso di violazione delle norme che impongono l’indizione di una procedura di gara, la lesione dell’interesse alla concorrenza possa rimanere irrilevante sul piano risarcitorio a causa dell’impossibilità di dare la prova (eziologica o statistica) di una probabilità di vittoria.
Al contrario, la lesione di una siffatta posizione soggettiva produce ex sé un danno patrimoniale rispetto al quale la chance non opera come fattore delimitativo ai fini della determinazione dell’an, ma solo come possibile criterio di quantificazione del quantum (nell’ambito del quale può assumere rilevanza il dato dei potenziali partecipanti alla gara qualora determinabile).
Chiarito quanto precede, il Collegio ritiene che, in ordine alla sussistenza del danno, la sua quantificazione possa essere effettuata sulla base di un percentuale dell’utile che [la ricorrente] avrebbe potuto conseguire, qualora avesse avuto la possibilità di partecipare alla gara e l’avesse vinta».
Daniele Majori – Avvocato Amministrativista in Roma
Fonte:www.giustizia-amministrativa.it
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