(Consiglio di Stato, sez. V, 13 dicembre 2012, n. 6399)
«Con il ricordato D.L. n. 112 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008, sono state dettate “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”.
L’art. 23 bis, rubricato “Servizi pubblici locali di rilevanza economica”, dopo aver stabilito al primo comma, tra l’altro, che l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica devono rispettare la disciplina comunitaria, favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale e garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettere e) ed m) della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione (precisando che tali disposizioni si applicano a tutti i servizi pubblici locali, prevalendo sulle relative discipline di settore con esse incompatibili, salve le eccezioni ivi espressamente indicate), al successivo comma 2 ha sancito che, in via ordinaria il conferimento della gestione dei predetti pubblici locali avviene: a) in favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità Europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità; b) a società di partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento.
Inoltre, dopo aver delineato ai commi 3, 4 e 4 bis i casi di deroga alle modalità di affidamento ordinario e al comma 8 il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito dai precedenti commi 2 e 3, il comma 9 ha stabilito che “Le società, le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllate, anche non appartenenti a Stati membri dell’Unione Europea, che, in Italia o all’estero, gestiscono di fatto o per disposizione di legge, di atto amministrativo o di contratto servizi pubblici locali in virtù dell’affidamento diretto, di un procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai sensi del comma 2, lettera b), nonché i soggetti cui è affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall’attività di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione dei servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare. Il divieto di cui al primo periodo opera per tutta la durata della gestione e non si applica alle società quotate in mercati regolamentati ed al socio selezionato ai sensi della lettera b), del comma 2. I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere su tutto il territorio nazionale alla prima gara successiva alla cessazione del servizio, svolta mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, avente ad oggetto i servizi da essi forniti”.
7.2. Sulla scorta di tale substrato normativo deve convenirsi con la tesi proposta [dall’appellante incidentale] secondo cui [l’appellante principale] non avrebbe potuto partecipare alla gara di appalto in questione.
7.2.1. Posto infatti che non può fondatamente negarsi che i servizi di igiene urbana attinenti la raccolta ed il trasporto di rifiuti rientrano nella qualificazione di cui all’art. 112 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (ai sensi del quale gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che hanno per oggetto la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali), spettando del resto ai Comuni, ai sensi dell’art. 198 del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, la gestione dei rifiuti urbani, compresa la disciplina delle modalità del servizio di raccolta e di trasporto (C.d.S., sez. V, 11 maggio 2010, n. 2829), non è stato minimamente contestato che [l’appellante principale] fosse affidataria diretta dei servizi di gestione dei rifiuti e di igiene ambientale nei comuni di Terlizzi e di Putignano, configurandosi pertanto nei suoi confronti la situazione ostativa di partecipazione alla gara in questione prevista dal ricordato comma 9 dell’art. 23 bis del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni nella legge 6 agosto 2008, n. 133.
7.2.2. Né può sostenersi che il ricordato divieto non fosse applicabile [all’appellante principale], in quanto gli affidamenti diretta di cui essa era titolare sarebbero stati la conseguenza esclusiva della peculiare situazione determinatasi in Puglia per effetto delle disposizioni legislative, statali e regionali, nelle more dell’istituzione e dell’organizzazione del relativo servizio da parte delle Autorità d’Ambito (in particolare, art. 204, comma 1, del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, a mente del quale “i soggetti che esercitano il servizio, anche in economia, alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, continuano a gestirlo fino alla istituzione e organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti da parte delle Autorità di Bacino” e art. 9, comma 1, della legge regionale della Puglia 31 dicembre 2009, n. 36 (“Norme per l’esercizio delle competenze in materia di gestione dei rifiuti in attuazione del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 156”), secondo cui “Per effetto della preesistente costituzione delle AdA di cui all’art. 7, comma 3, salvo non risultino già trasferiti all’AdA i relativi contratti, i soggetti che esercitano il servizio, anche in economia, continuano a gestirlo fino all’istituzione e organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti da parte dell’AdA sempre che i contratti di appalto siano ancora in corso di validità…”); così che non si sarebbe verificato alcun sviamento del mercato (a garanzia del quale è posto il ricordato divieto normativo).
E’ sufficiente richiamare al riguardo quanto questa Sezione ha già osservato nella sentenza n. 4840 del 12 settembre 2012, relativa ad analoga controversia.
E’ stato infatti rilevato che tale pur suggestiva prospettazione si fonda su di una erronea interpretazione della normativa di riferimento, non confortata da alcun elemento logico – sistematico ed anzi smentita dalla natura e dalla finalità della norma ricordata, affermandosi che “Il divieto in esame non consente alle società, le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante (anche non appartenenti a Stati membri dell’Unione Europea), che, in Italia o all’estero, gestiscono di fatto o per disposizione di legge, di atto amministrativo o per c contratto servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto o di una procedura non ad evidenza pubblica, di acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare” e che “La finalità della norma è duplice: infatti se, da un lato, con essa si intende assicurare che anche l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali rispetti i fondamentali principi della concorrenza e di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici, che costituiscono i pilastri della stessa Unione Europea, d’altra parte il procedimento ad evidenza pubblica, attraverso cui è dato perseguire i predetti principi, costituisce altresì lo strumento per l’attuazione dei principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità dell’attività della pubblica amministrazione (art. 97), i cui corollari sono proprio la trasparenza e la pubblicità, oltre che l’economicità, l’efficacia e l’efficienza”.
Di conseguenza “l’affidamento diretto di un servizio pubblico locale, secondo il legislatore, sterilizzando in radice il libero gioco della concorrenza e limitando la platea dei possibili concorrenti, impedisce la stessa astratta realizzabilità delle finalità della norma, così che coerentemente è stato escluso che i soggetti che già gestissero in qualsiasi modo, anche di fatto, oltre che provvedimento amministrativo, contratto o disposizione legislativa, potessero rendersi affidatari di nuovi servizi pubblici, ciò determinando una illegittima posizione di vantaggio o addirittura di privilegio capace ex se di condizionare la libera concorrenza”, così che “…il divieto in questione, come si ricava dall’ampiezza della sua portata, ha una valenza oggettiva, che prescinde da ogni connotazione soggettiva e tanto più dalla considerazione delle ragioni, particolari e contingenti, che possono aver in concreto determinato o giustificato l’affidamento diretto: è pertanto irrilevante sia che, come sostenuto dall’appellante, nel caso in esame l’affidamento diretto dei servizi di igiene urbana dei comuni di Bisceglie e Monopoli non avrebbe violato il principio della libera concorrenza (affermazione peraltro apodittica, indimostrata e comunque indimostrabile), sia che detti affidamenti diretti non sarebbero stati determinati da un’iniziativa della stessa appellante (facendo riferimento la norma anche a situazioni di fatto)”.
7.3. Completezza espositiva impone alla Sezione di osservare che è del tutto irrilevante ai fini della decisione della controversia in esame la sopravvenuta abrogazione del ricordato art. 23 bis per effetto del D.P.R. 18 luglio 2011, n. 113, la legittimità dell’operato dell’amministrazione appaltante dovendo essere valutata secondo il principio del tempus regit actum (così anche C.d.S., sez. V, 21 giugno 2012, n. 3667)».
Daniele Majori – Avvocato Amministrativista
Fonte:www.giustizia-amministrativa.it
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