Giustizia amministrativa

Il Consiglio di Stato perimetra l’ampiezza del potere istruttorio del giudice, anche alla luce dell’art. 104 c.p.a., che fissa l’ultimo confine di ammissibilità delle prove nel giudizio amministrativo ed è norma di chiusura del sistema.

(Consiglio di Stato, sez. IV, 15 marzo 2012, n. 1453)

«Ritiene la Sezione che l’orientamento espresso in sentenza non possa essere condiviso, scontrandosi contro il cogente dovere del giudice amministrativo di adottare la propria decisione sulla base di una completa istruttoria. Tale affermazione si fonda su un’osservazione complessiva dei modi dell’accesso documentale al giudizio amministrativo.
L’attenzione va fermata sulla norma che rappresenta il criterio finale di sbarramento, valevole unicamente in secondo grado, ossia nel giudizio maggiormente connotato dalla necessità di rispettare il divieto dello ius novorum e di preservare la realtà processuale come costruita nella lealtà e correttezza dei rapporti tra le parti. Ci si riferisce all’art. 104 del codice del processo amministrativo che consente di introdurre nuovi mezzi di prova e nuovi documenti nel solo caso in cui “il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”. Come emerge dalla lettura del testo, in secondo grado la produzione di nuovi fatti di prova è subordinata all’esistenza di almeno uno degli elementi qualificanti la situazione: l’elemento oggettivo, e quindi l’indispensabilità della prova per la risoluzione della questione sottoposta; oppure l’elemento soggettivo, ossia la condizione di impossibilità alla produzione in cui, per causa non imputabile, è ricaduta la parte. Si tratta di criteri alternativi, e non cumulativi, che vanno quindi analizzati separatamente.
Soffermandosi sul primo dei due criteri, e sottolineando come una norma di tal fatta non sia rinvenibile per il giudizio di primo grado, la Sezione ritiene di dover individuare un contenuto maggiormente pregnante alla nozione di indispensabilità della prova, qui rilevante, rispetto a quello emergente da una piana lettura del testo di legge.
Per un verso, va certamente evidenziato come non possa essere ritenuta indispensabile qualsiasi prova che influisca sulla decisione, atteso che, così allargato, il concetto si verrebbe a sovrapporre con la nozione di prova rilevante o addirittura con la nozione di prova tout court. Se fosse così, tutte le prove sarebbero indispensabili, in quanto influenti sulla base di giudizio. Per altro verso, stante il criterio generale di ripartizione dell’onere della prova, va rimarcato che il giudice potrebbe decidere in ogni caso, anche in assenza di allegazioni probatorie, rispettando il divieto del non liquet e facendo ricadere sulla parte onerata le conseguenze del mancato adempimento al proprio dovere processuale. Se fosse così, nessuna prova sarebbe indispensabile, in quanto non incidente sulla possibilità di emanare comunque una decisione.
La nozione va quindi collocata in un ambito che superi la mera rilevanza e che vada ad incidere sul contenuto concreto del decisum giurisprudenziale. Ciò implica che al concetto di prova indispensabile va collegato un contenuto precettivo maggiore, ossia tale non solo da influire sul giudizio (proprietà che è insita nel concetto di prova come elemento formante la base del giudizio), ma da trasformare radicalmente l’esito della decisione, in relazione ad almeno una delle domande proposte.
La nozione oggettiva appena esaminata ed il rigido sbarramento valevole in appello, che a questa si collega, non hanno un contraltare nel giudizio di primo grado, dove sono più attenuate le esigenze sopra evidenziate in merito allo ius novorum ed alla costituzione della realtà processuale. Qui la norma del codice del processo amministrativo valorizza unicamente il profilo temporale della produzione documentale, tanto che la giurisprudenza successiva all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, il quale contiene una disciplina espressa nell’ambito dell’art. 54, comma 1, ha potuto affermare come “i termini previsti dall’art. 73, comma 1, cod. proc. amm. sono termini perentori, che non possono essere superati sul semplice accordo delle parti, essendo il deposito tardivo di memorie e documenti ammesso in via del tutto eccezionale nei soli casi di dimostrazione … della estrema difficoltà di produrre l’atto nei termini di legge” (Consiglio di Stato, sez. V, 31 marzo 2011 , n. 1970).
Ma anche sotto questo punto di vista, e si viene così all’esame del secondo criterio di sbarramento come individuato dall’art. 104 del codice del processo amministrativo, può riscontrarsi una notevole diversità di criteri tra l’ammissione di prova in primo grado e quella in secondo. Infatti, se davanti al T.A.R. il rispetto del termine perentorio può essere superato sulla base di una mera valutazione di difficoltà di produzione (“produzione … estremamente difficile” come dice la formulazione mantenuta anche a seguito della modifica di cui all’articolo 1, comma 1, lettera m), del D.Lgs. n. 195 del 15 novembre 2011), in appello ciò può avvenire solo nei casi di impossibilità per causa non imputabile. Anche in questo caso, viene confermato, dal punto di vista degli impedimenti soggettivi, l’esistenza di un criterio valutativo più stringente nel giudizio di secondo grado.
Pertanto, ben può affermarsi come l’art. 104 del codice del processo amministrativo fissi l’ultimo confine di ammissibilità delle prove nel giudizio amministrativo e sia norma di chiusura del sistema.
Tale osservazione consente allora di fissare un punto ulteriore della discussione, nei limiti di quanto qui rilevante, ossia di indagare quali siano i rapporti tra il dovere delle parti di allegazione del principio di prova ed il potere del giudice di acquisire gli elementi utili alla decisione (art. 64 codice del processo amministrativo, commi 1 e 3). Fermo rimanendo che il potere istruttorio del giudice, in generale, appare connotato da un’ampiezza ben maggiore, potendo portare all’acquisizione di elementi anche solamente utili al giudizio, con un apprezzamento rimesso alla sua prudenza, appare difficile sostenere che, una volta che la parte abbia adempiuto al suo onere di allegazione, il giudice possa rifiutarsi di acquisire elementi che superino addirittura il più stringente sbarramento valevole nel grado di appello. Di fronte ad una rilevanza probatoria positivamente riscontrata dalla norma del codice del processo amministrativo, la scelta del giudice risulta esplicitamente connotata, portando ad un’attivazione necessitata del potere istruttorio
».

Daniele Majori – Avvocato Amministrativista in Roma

Fonte:www.giustizia-amministrativa.it

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