(Consiglio di Stato, sez. IV, 28 febbraio 2012, n. 1128)
«Il Piano Regolatore Generale comunale e, al pari di esso, una variante generale del medesimo (come nel caso di specie ) costituisce, com’è noto, un atto a contenuto normativo recante previsioni e prescrizioni che disciplinano l’assetto urbanistico del territorio.
Relativamente al procedimento deputato a dare vita allo strumento de quo, esso si atteggia come una fattispecie a formazione successiva e precisamente come un atto complesso ineguale in cui confluiscono le determinazioni programmatorie imputabili sia al Comune in sede di elaborazione, sia alla Regione, quale Ente sovraordinato, in sede di approvazione (Cons. Stato Ad. Pl. n.1 del 9/3/1983).
Se così è, appare evidente che i margini per adottare misure di autotutela da parte del Comune sono individuabili solo in riferimento alla fase dell’avvenuta adozione dei propri precedenti atti, non potendosi procedere allo jus poenitendi in relazione a determinazioni che , come nel caso di specie, hanno conseguito il visto di approvazione regionale in virtù di un silenzio-assenso tipizzato da una norma legislativa ad hoc.
Il Comune quindi ha assunto provvedimenti in autotutela sull’erroneo presupposto che gli atti sottoposti a riesame fossero solo adottati, mentre nella specie questi erano stati anche approvati dalla Regione Calabria e perciò stesso non più nella disponibilità del solo Ente locale. E ciò non può non comportare la illegittimità delle deliberazioni comunali (nn. 21 e 22/06) portanti la “misura” di revoca delle precedenti determinazioni di adozione della variante generale e delle controdeduzioni al parere della CUR, ancorchè assunta in ragione di un affermata non conformità con la normativa urbanistica».
Daniele Majori – Avvocato Amministrativista in Roma
Fonte:www.giustizia-amministrativa.it
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