Riconoscimento delle qualifiche professionali, Unione europea

Istanza per il riconoscimento del titolo conseguito all’estero: l’Amministrazione ha l’obbligo di provvedere, conformandosi ai principi eurounitari di ragionevolezza e proporzionalità (sul tema, per tutte: Corte di Giustizia UE, sentenza 6 dicembre 2018, causa C-675/17, Hannes Preindl; sentenza 7 maggio 1991, causa C-340/89, Vlassopoulou; sentenza 13 novembre 2003, causa C-313/01, Morgenbesser), nonché a quelli enunziati dalle sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr. nn. 18, 19, 20, 21 e 22 del 28-29 dicembre 2022) che hanno definito la questione.

(Tar Lazio, Roma, sez. III Bis, 4 ottobre 2023, n. 14657)

«L’oggetto del giudizio è rappresentato dalla mancata risposta a un’istanza proposta da parte ricorrente e diretta alle amministrazioni resistenti al fine di ottenere il riconoscimento di un titolo conseguito all’estero.
Elementi necessari e sufficienti per ritenere la sussistenza di un silenzio rilevante ai fini dell’adozione del provvedimento in oggetto sono rappresentati dalla sussistenza di un obbligo di provvedere a fronte di un’istanza di un privato e dalla scadenza del relativo termine.
Nel caso di specie, tali presupposti appaiono integrati se si considera che: il termine generale previsto dalla legge n. 241 del 1990 appare inutilmente decorso; la ricorrente è titolare di una situazione giuridica soggettiva legittimante a ottenere un provvedimento.
Inoltre, è decorso anche il termine specifico fissato in materia dal d.lgs. n. 206/2007, il cui art.16, comma 6, stabilisce che “Sul riconoscimento provvede l’autorità competente con proprio provvedimento, da adottarsi nel termine di tre mesi dalla presentazione della documentazione completa da parte dell’interessato” e dal comma 2, stesso articolo, secondo il quale “Entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di cui al comma 1 l’autorità accerta la completezza della documentazione esibita, e ne dà notizia all’interessato. Ove necessario, l’Autorità competente richiede le eventuali necessarie integrazioni”, conseguendone che il termine complessivo entro il quale l’Amministrazione deve emettere il provvedimento conclusivo del procedimento può approdare, al massimo, a quattro mesi, in caso di richiesta, contemplata dal predetto comma 2, delle eventuali necessarie integrazioni.
Dagli atti del giudizio risulta che, nel caso di specie, la pubblica amministrazione è rimasta inerte rispetto all’obbligo di provvedere alla richiesta formulata da parte ricorrente.
Ne deriva che l’amministrazione resistente ha l’obbligo di adottare il provvedimento in oggetto e che, in difetto, deve provvedere un commissario ad acta.
Quest’ultimo è nominato, fin da ora, nella persona del Direttore generale del Ministero preposto alla Direzione generale competente per la materia oggetto del presente contenzioso, il quale, senza facoltà di delega e senza compenso, provvederà nel termine di 120 giorni, decorrente dalla scadenza del termine di cui sopra attribuito all’amministrazione.
Sia l’amministrazione sia il commissario ad acta dovranno conformarsi ai principi eurounitari di ragionevolezza e proporzionalità (sul tema per tutte Corte di Giustizia UE sentenza 6 dicembre 2018, causa C-675/17, Hannes Preindl; sentenza 7 maggio 1991, causa C-340/89, Vlassopoulou; sentenza 13 novembre 2003, causa C-313/01, Morgenbesser), nonché a quelli enunziati dalle sentenze della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr. nn. 18, 19, 20, 21 e 22 del 28-29 dicembre 2022) che hanno definito la questione».

Daniele Majori – Avvocato cassazionista e consulente aziendale

Fonte:www.giustizia-amministrativa.it

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