(Consiglio di Stato, sez. V, 25 maggio 2023, n. 5146)
«Come pacifico fra le parti e posto in risalto dalla stessa sentenza, il bando di gara prevedeva espressamente all’art. II.3 una durata biennale dell’affidamento “rinnovabile per ulteriori due anni”; coerentemente, il contratto inter partes del 28 febbraio 2006 prevedeva all’art. 3 una durata “a decorrere dal 6 […] marzo 2006 con scadenza il 5 […] marzo 2008”, con possibilità di proroga “su richiesta scritta della Biblioteca”, da comunicare all’impresa almeno due mesi prima della scadenza del contratto.
È dunque corretta, e rilevante ai fini dell’apprezzamento della doglianza, l’affermazione della sentenza per cui la proroga era sì consentita dalla lex specialis e dal contratto, ma non oltre al 5 marzo 2010: qualunque ulteriore differimento della durata del rapporto contrattuale esorbitava dagli atti di gara e dalle stesse pattuizioni negoziali inter partes.
Nel caso di specie, come pure osservato dalla sentenza, l’affidamento è soggetto alla disciplina anteriore al decreto legislativo n. 163 del 2006, e in specie all’art. 6, comma 4, l. n. 537 del 1993, come sostituito dall’art. 44, comma 1, l. n. 724 del 1994.
Il suddetto art. 6, comma 4, prevedeva che «Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili della acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui al comma 6».
La disposizione, che ha trovato seguito nell’analoga previsione dell’art. 115 d.lgs. n. 163 del 2006 (cfr., oggi, il regime di cui all’art. 106, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 50 del 2016 e all’art. 60 d.lgs. n. 36 del 2023), ha per consolidata giurisprudenza natura imperativa, inserendosi automaticamente nella disciplina del rapporto fra le parti anche con prevalenza sulla regolamentazione pattizia (cfr. Cons. Stato, V, 17 luglio 2019, n. 5021; III, 9 maggio 2012, n. 2682; V, 22 dicembre 2014, n. 6275; recentemente, Id., V, 16 febbraio 2023, n. 1626); la stessa ha infatti il precipuo scopo, da un lato, di “tutelare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni o servizi da parte degli appaltatori delle amministrazioni pubbliche non subiscano col tempo una diminuzione qualitativa a causa degli aumenti dei prezzi dei fattori della produzione, incidenti sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta, con conseguente incapacità del fornitore di far fronte compiutamente alle stesse prestazioni” (Cons. Stato, V, 2 novembre 2009, n. 6709), dall’altro “di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto” (Cons. Stato, III, 9 gennaio 2017, n. 25).
Presupposto per l’applicazione dell’istituto è che vi sia stata una mera proroga, e non un rinnovo del rapporto contrattuale, consistendo la prima “nel solo effetto del differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall’atto originario”, mentre il secondo scaturisce da “una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, che può concludersi con l’integrale conferma delle precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse se non più attuali” (Cons. Stato, n. 5021 del 2019, cit.; Cons. Stato, n. 2682 del 2012, cit.; cfr. anche Cons. Stato, IV, 1 giugno 2010 n. 3474; Id., III, 23 marzo 2012 n. 1687; cfr. anche Id., III, 27 agosto 2018, n. 5059).
In tale contesto, a sua volta l’art. 6, comma 2, l. n. 537 del 1993 prevedeva che «È vietato il rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, ivi compresi quelli affidati in concessione a soggetti iscritti in appositi albi. I contratti stipulati in violazione del predetto divieto sono nulli» (il precedente ultimo periodo della disposizione, in cui si prevedeva che «Entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, le amministrazioni accertano la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la rinnovazione dei contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al contraente la volontà di procedere alla rinnovazione», è stato abrogato dall’art. 23, comma 1, l. n. 62 del 2005).
L’art. 23, comma 2, l. n. 62 del 2005 ha previsto al contempo che «I contratti per acquisti e forniture di beni e servizi, già scaduti o che vengano a scadere nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, possono essere prorogati per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione che la proroga non superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge».
Se ne ricava un regime complessivo, ispirato ai principi concorrenziali di matrice europea, per cui da un lato non è ammesso il rinnovo automatico dei contratti, dall’altro la loro proroga, in relazione alle fattispecie ricomprese nel perimetro dell’art. 23, comma 2, l. n. 62 del 2005, è ammessa «per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione che la proroga non superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della [detta] legge».
Al di fuori di questi casi non è dunque ammesso un differimento della durata del rapporto, né una sua rinnovazione automatica.
2.1.2. Facendo applicazione dei suesposti principi al caso di specie emerge la correttezza della valutazione espressa dal giudice di primo grado in ordine all’insussistenza nella specie dei presupposti per ammettere l’applicazione della revisione prezzi in relazione al periodo successivo al 5 marzo 2010.
Per quanto già osservato, infatti, non s’è in presenza nella specie di proroghe fondate sulle previsioni contrattuali: la lex specialis e il contratto fra le parti prevedevano infatti proroghe per il solo primo biennio successivo all’originaria scadenza contrattuale, non anche per i periodi successivi.
Né è possibile ricondurre la proroga nell’ambito dell’art. 23, comma 2, l. n. 62 del 2005, e cioè quale cd. “proroga ponte” nelle more dell’espletamento di nuova gara: è sufficiente osservare, a tal fine, come la prima proroga disposta dalla stazione appaltante, in data 19 febbraio 2010 (con effetto fino al 31 marzo 2010), non facesse alcun riferimento all’espletamento di nuove gare e dunque alla necessità di coprire il periodo di relativo svolgimento. Il che poneva la fattispecie di per sé al di fuori di un (legittimo e consentito) regime di proroga contrattuale, atteso che il disposto differimento del termine non aveva né base contrattuale e riconducibile alla lex specialis, né fondamento legale nell’istituto della “proroga ponte” o tecnica.
A tal fine, non giova peraltro all’appellante il richiamare i limiti applicativi previsti dal citato art. 23, comma 2 (i.e., contratti scaduti all’ingresso in vigore della legge o a scadere nei sei mesi successivi) atteso che si tratta appunto di limiti correlati all’applicabilità di una norma autorizzatoria, sicché la collocazione della fattispecie al di fuori del segmento temporale avrebbe l’effetto, semmai, di non consentire tout court la proroga, neppure alle condizioni previste dalla norma.
In tale contesto, una volta che la prima proroga disposta (anche se di poche settimane) è fuoriuscita dal novero delle fattispecie ammesse dalla legge, di per sé il regime di differimento della durata temporale del rapporto è venuto a porsi al di fuori di una (legittima) continuazione di quello originario, sicché non rileva il fatto che le successive proroghe menzionino l’espletamento di gare.
A ciò si aggiunga peraltro che, anche nelle successive proroghe, il richiamo a procedure ad evidenza pubblica è del tutto generico, né v’è evidenza di tali eventuali procedure (e peraltro le proroghe sono state complessivamente disposte per un termine ben superiore a quello semestrale previsto dalla norma dell’art. 23, comma 2, cit.), ciò in un contesto in cui invece la proroga tecnica ha natura eccezionale ed applicazione strettamente funzionalizzata alla conclusione della procedura (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, n. 1626 del 2023, cit., in cui si pone in risalto che “Come è noto, secondo la giurisprudenza prevalente, nel vigente quadro ordinamentale, è consentita solo la ‘proroga tecnica’, l’unica ammessa in materia di pubblici contratti, avente ‘carattere eccezionale’ (ex multis Cons. Stato, sez. III, 3 aprile 2017, n. 1521; Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2018, n. 274), la quale deve essere fondata su ‘oggettivi e insuperabili ritardi nella conclusione della nuova gara non imputabili alla stazione appaltante’ (Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2019, n. 3588)”; Id., 29 maggio 2019, n. 3588, pur maturata sull’art. 106, comma 11, d.lgs. n. 50 del 2016; cfr. anche Id., 17 gennaio 2018, n. 274; III, 3 aprile 2017, n. 1521).
Alla luce di ciò, è da ritenere corretto l’apprezzamento del giudice di primo grado circa la non spettanza della revisione prezzi per il periodo posteriore al 5 marzo 2010: non può infatti ritenersi che un regime di proroga non previsto né ammesso dalla normativa, sostanzialmente assimilabile a nuovo affidamento (cfr. ancora, di recente, Cons. Stato, n. 1626 del 2023, cit.) – e cui dunque l’impresa avrebbe potuto legittimamente sottrarsi – possa legittimare una revisione prezzi, coincidendo piuttosto con una fattispecie di proroga “atecnica” illegittima (assimilabile, appunto, a nuovo affidamento, seppur a contenuto analogo), avvenuta con (inevitabile) assenso dell’impresa, cui non può conseguire anche la revisione dei prezzi, la quale presuppone piuttosto la vigenza di un legittimo e regolare rapporto fra le parti».
Daniele Majori – Avvocato cassazionista e consulente aziendale
Fonte:www.giustizia-amministrativa.it
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