Appalti pubblici, Concessioni, Contratti pubblici

Il principio della obbligatorietà della clausola di revisione prezzi è stato previsto dal legislatore soltanto per i contratti ad esecuzione continuativa e periodica, non anche per le concessioni di servizi.

(Consiglio di Stato, sez. V, 10 gennaio 2023, n. 301)

«L’art. 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, come modificato dall’art. 44 della Legge 724 del 1994 – abrogato dal d.lgs. n. 163 del 2006 – applicabile ‘ratione temporis’ disponeva al comma 4 che: “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuata debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili della acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui al comma 6”.
La suddetta disposizione non è applicabile alla fattispecie.
Il principio della obbligatorietà della clausola di revisione prezzi è stato previsto dalla norma, testualmente, per i contratti ad esecuzione continuativa e periodica, e non per le concessioni come quelle in esame.
Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, l’esecuzione ha luogo per coppie di prestazioni da eseguirsi contestualmente e con funzione corrispettiva (Cass. n. 4225/2022).
Nel caso della concessione di servizi, invece, la prestazione a carico del concedente avviene con l’atto concessorio, che rappresenta esso stesso il corrispettivo a favore di quest’ultimo. Invero, la concessione di servizi viene definita un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo.
L’istituto della revisione prezzi ha la finalità, da una parte, di salvaguardare l’interesse pubblico a che la prestazione a favore della pubblica amministrazione non sia esposta, nel tempo, al rischio di una diminuzione qualitativa a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta e della conseguente incapacità del contraente di farvi compiutamente fronte, nonché, dall’altra, di tutelare l’interesse dell’operatore economico a non subire un’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente all’aumento imprevedibile dei costi tali da indurlo, durante la durata contrattuale, ad una possibile riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni erogate (Cons. Stato 16.6.2020, n. 3873).
Nella specie, il contratto stipulato [dall’appellante] è un contratto accessivo ad una concessione di pubblico servizio.
L’assunto interpretativo dell’accordo negoziale non è smentito nemmeno da parte appellante, che asserisce: “non è oggetto di contestazione la circostanza che il rapporto oggetto di esame sia di tipo concessorio (come ammesso anche nel ricorso in appello) si evidenzia che la tesi avversaria non soltanto è del tutto infondata ma è palesemente contrastante con le definizioni di concessione di servizi fornite sia dalle norme comunitarie che da quelle statali in tema di affidamento di servizi pubblici.”
Ciò premesso, va rammentato che il rapporto di concessione di pubblico servizio si distingue dall’appalto di servizi per l’assunzione, da parte del concessionario, del rischio di domanda, nel senso che mentre l’appalto ha struttura bifasica tra appaltante ed appaltatore ed il compenso di quest’ultimo grava interamente sull’appaltante, nella concessione, connotata da una dimensione triadica, il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l’utenza finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione. Ne consegue che nella concessione di servizi il rischio di ‘impresa’ grava sul concessionario. Infatti, secondo i recenti arresti della giurisprudenza amministrativa, il proprium dello strumento concessorio per l’affidamento dei servizi è fondato sul dato economico, ovvero il trasferimento del rischio imprenditoriale sul concessionario privato. E tale ‘trasferimento del rischio’ si realizza mediante un contratto di diritto privato che ha comunque struttura sinallagmatica e onerosa. Il fatto che la prestazione non sia erogata a favore dell’amministrazione bensì a favore della collettività non sembra poter incidere sulla natura contrattuale della concessione, posto che mediante lo schema del contratto a favore di terzi sarebbe comunque possibile dare ‘veste giuridica’ alla trilateralità che caratterizza il rapporto concessorio.
Essendo, pertanto, insito nel meccanismo causale della concessione che la fluttuazione della domanda del servizio costituisca un rischio traslato in capo al concessionario (anzi costituisca il rischio principale assunto dal concessionario), affinchè possa farsi luogo a una revisione dei profili economici concordati con il concedente è necessaria la comprovata ricorrenza di eventi eccezionali e straordinari, oggettivamente esterni ed estranei al funzionamento del mercato di settore (Cons. Stato, sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3653).
Pur dovendosi riconoscere una struttura privatistica al rapporto concessorio, va precisato che la definizione contrattualistica della concessione di servizi non incide sulla natura pubblicista dell’istituto e sul potere del concedente di intervenire anche unilateralmente sul rapporto. Il rapporto giuridico concessorio è, infatti, soggetto alle norme privatistiche in materia di contratti soltanto nella misura in cui le stesse siano compatibili con le norme pubblicistiche che garantiscono il perseguimento del pubblico interesse e, quindi, la ‘funzionalizzazione del rapporto in chiave pubblicistica’.
Il Collegio condivide l’indirizzo giurisprudenziale espresso da questa Sezione con sentenza 27 marzo 2013, n. 1755, in fattispecie analoga, con il quale si è escluso che l’art. 6, comma 4, legge n. 547 del 1993, successivamente confluito nella previsione normativa di cui all’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006 (obbligo di revisione periodica del prezzo), possa trovare applicazione anche in riferimento a contratti diversi da quello di appalto, quale nella fattispecie un contratto di concessione di pubblico servizio. La disposizione in commento, infatti, si applica esclusivamente nei confronti del contratto di appalto e, quindi, non anche del contratto accessivo ad una concessione di pubblico servizio, per il quale – considerato il complessivo impianto negoziale e la natura di contratto di durata – l’istituto della revisione periodica del prezzo è di dubbia applicazione.
Le concessioni di servizi sono soggette alla normativa di cui al d.lgs. n. 163/2006 solo negli stretti limiti da essa specificati, per la quale vige l’opposto principio della normale invariabilità del canone, proprio in ragione della ‘funzionalizzazione’ pubblicistica del rapporto concessorio.
La questione della ammissibilità della revisione del prezzo deve tenere conto quindi della peculiarità del rapporto tra la pubblica amministrazione e il concessionario, e degli interessi sottesi ai meccanismi di adeguamento/aggiustamento del corrispettivo (Cons. Stato, 16 giugno 2020, n. 3874).
In questo ambito, inoltre, va tenuto conto che le Regioni assumono un ruolo fondamentale ai fini del finanziamento dei servizi minimi che sono chiamate a sostenere, costituendo annualmente un fondo alimentato da risorse proprie, dalla compartecipazione ai tributi erariali e da risorse trasferite dallo Stato. Nelle more del trasferimento delle risorse dello Stato alle regioni, inerente alla procedura di decentramento delle funzioni amministrative, il legislatore nazionale ha costantemente garantito fondi speciali per il trasporto pubblico locale, anche al fine di assicurare livelli di omogeneità nella fruizione dei servizi sul territorio nazionale.
Di tali considerazioni si è fatta carico questo Consiglio di Stato, precisando nella richiamata pronuncia, dalle cui conclusioni non vi sono ragioni per discostarsi, la ragionevolezza dell’esclusione dell’applicazione dell’istituto della revisione prezzi, considerando il particolare e persistente favore di cui godono le concessionarie di pubblici servizi, in quanto concessionarie monopolistiche ed imprese assistite per il tramite di stabili ausili pubblici e ricorrenti misure di ripiano di disavanzi di gestione.
Come evidenziato dalla Regione Puglia con memoria, appare decisivo aggiungere che l’appellante versa nella rafforzata posizione di concessionario ex lege, in quanto l’affidamento del servizio ha trovato fondamento direttamente nella legge, cui sono seguiti provvedimenti adempitivi, come il contratto ponte del 20.3.2001, nonché successivi contratti di servizio.
9.4. Tanto premesso, va confermato quanto asserito dal giudice di prime cure, il quale ha respinto la pretesa vantata dalla società [appellante] “volta ad ottenere la revisione del prezzo, atteso che, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza amministrativa, la previsione di cui all’invocato articolo 115 del d.lgs. n. 163/2006 riguarda esclusivamente il contratto di appalto e non il contratto accessivo ad una concessione di pubblico servizio, per il quale vige l’opposto principio della normale invariabilità del canone concessorio (cfr. tra le tante: Cons. Stato, Sez. VI, 5 giugno 2006, n. 3335; 3 febbraio 2006, n. 388).”
Non depone in senso contrario la decisione del Consiglio di Stato, sez. V, n. 5954 del 2010, richiamata dalla società appellante a sostegno della propria tesi difensiva, con cui questa Sezione, tenendo ferma la distinzione tra ‘concessione’ e ‘contratto’, ha statuito il diritto dell’impresa ricorrente ad ottenere la revisione inflattiva sul differente presupposto che, nella peculiare vicenda processuale oggetto di delibazione, il rapporto con la pubblica amministrazione fosse stato instaurato sulla base di un vero e proprio ‘contratto’ e non sulla base di un atto concessorio».

Daniele Majori – Avvocato cassazionista e consulente aziendale

Fonte:www.giustizia-amministrativa.it

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