(Tar Calabria, Reggio Calabria, 6 maggio 2015, n. 439)
«La gravata ordinanza, adottata dal responsabile dell’area di vigilanza del comando di Polizia Municipale, richiamato il t.u.l.p.s., motiva la disposta sospensione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande per essere stata “appresa notizia, in data 14.03.2014, a mezzo stampa, che [l’odierno ricorrente] risulta essere agli arresti domiciliari presso la propria residenza (….) in attesa di verificare i permanere dei requisiti di ordine morale previsti dalla legge”.
Con riferimento alle norme del t.u.l.p.s., l’autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande, come ora disciplinata dall’art. 64, d. lgs. n. 59 del 2010, qualificabile come autorizzazione di polizia, può essere sospesa:
a) ai sensi dell’art. 10, t.u.l.p.s., in caso di abuso della persona autorizzata, da parte del competente dirigente ex art. 107, d. lgs. n. 267/2000, ovvero
b) ai sensi dell’art. 100, t.u.l.p.s., dal Questore.
Posto che la fattispecie in esame non concerne un’ipotesi di abuso – peraltro rientrante nella competenza del dirigente di settore (in tal senso, T.a.r. Liguria, sez. II, 11 aprile 2008, n. 543; sez. II, 20 febbraio 2013, n. 313), e non certo in quella del responsabile del comando della polizia municipale – è alla norma dell’art. 100, t.u.l.p.s. che deve aversi riguardo per scrutinare la legittimità della fattispecie all’esame di questo collegio giudicante.
E con riferimento all’art. 100 t.u.l.p.s. deve essere affermata l’incompetenza di qualsiasi organo dell’ente comunale ad emanare, sulla sua base, ordini di sospensione, potendo gli stessi essere emanati unicamente dal Questore.
La misura cautelare contemplata dall’art. 100, cit., infatti, in quanto fondata su ragioni di ordine pubblico e di sicurezza dei cittadini, rientra nella competenza dell’amministrazione dell’Interno.
L’art. 100, r.d. 18 giugno 1931, n. 773, come noto, statuisce che “Oltre i casi indicati dalla legge, il Questore può sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini. Qualora si ripetano i fatti che hanno determinata la sospensione, la licenza può essere revocata.”.
A sua volta, l’art. 9, l. 25 agosto 1991, n. 287, stabilisce, al comma 3, che “La sospensione del titolo autorizzatorio prevista dall’articolo 100 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, non può avere durata superiore a quindici giorni; e’ fatta salva la facoltà di disporre la sospensione per una durata maggiore, quando sia necessario per particolari esigenze di ordine e sicurezza pubblica specificamente motivate.”
Dalla lettera delle norme appena richiamate si evince, allora, che le ordinanze di sospensione per esigenze di ordine e sicurezza pubblica:
– sono emanate dal Questore;
– non possono avere durata superiore a quindici giorni fatte salve particolari esigenze specificamente motivate.
7. L’orientamento prevalente formatosi in seno al supremo consesso del giudice amministrativo afferma che i poteri previsti dall’ art. 100 cit., in tema di revoca e sospensione delle licenze per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, non rientrano tra i compiti di polizia amministrativa trasferiti in forza del d.p.r. n. 616 del 1977, venendo in considerazione, al riguardo, funzioni relative ad ambiti riservati allo Stato, siccome attinenti alla salvaguardia dell’ordine e sicurezza pubblica.
In relazione a tali premesse, il potere di sospensione attribuito ai comuni dall’ articolo 19, comma 4, del d.p.r. n. 616 del 1977 deve ritenersi esercitabile nei soli casi in cui la sospensione della licenza trovi giustificazione in ragioni diverse da quelle attinenti alla tutela dell’ordine pubblico (in tal senso, ex plurimis, Cons. St., sez. IV, 25 novembre 2003, n. 7777; sez. V, 21 giugno 2013, n. 3421)
La decisione del Cons. giust. amm. reg. sic., n. 619 del 3 dicembre 2001, ancora, a proposito della l. n. 287 del 1991 ha precisato che tale fonte “ha inteso trasferire al Sindaco esclusivamente le funzioni amministrative collegate al rilascio delle autorizzazioni al commercio ed il relativo controllo sulla regolarità dell’esercizio della attività oggetto della autorizzazione, sotto il profilo e per le implicazioni di natura esclusivamente amministrativa, con ciò in nulla innovando in ordine alla attività di controllo e di tutela delle esigenze di ordine e sicurezza pubblica previste tra l’altro dal T.U.L.P.S. e devolute alle autorità di P.S.”. La stessa decisione n. 619/2001 ha disatteso, inoltre, sia la tesi che l’art. 100, comma 2, del T.U.L.P.S. fosse stato abrogato implicitamente per contrasto con l’art. 9, l. n. 287 cit. (richiamante soltanto l’ipotesi di cui al primo comma dello stesso art. 100, relativa alla sospensione dell’autorizzazione), sia la tesi che la revoca dell’autorizzazione potrebbe legittimamente ormai intervenire nei soli casi previsti dall’ art. 4, l. n. 287 cit., trattandosi di ipotesi afferenti a mere inosservanze di ordine amministrativo, accanto alle quali quelle previste dagli artt. 8, 13 e 100 del T.U.L.P.S. continuano quindi ad integrare autonome cause di revoca dell’autorizzazione.
A ciò si aggiunga che anche quando la giurisprudenza, pur tenendo fermo il punto che i comuni non hanno una competenza propria in materia di ordine pubblico, e dunque non possono compiere autonome valutazioni su tale interesse, è giunta, nondimeno, ad ammettere che i comuni sarebbero formalmente competenti a revocare, anche per motivi di ordine pubblico, le autorizzazioni commerciali da loro stessi rilasciate, in base al principio del contrarius actus, la stessa giurisprudenza, tuttavia, ha categoricamente condizionato una simile eventualità alla presenza, a monte, di una richiesta vincolante da parte dell’autorità di P.S. (Con. St., sez. VI, 18 novembre 2010, n. 8107).
L’ordinanza gravata si palesa dunque illegittima perché adottata da un organo, il responsabile dell’area vigilanza, incompetente ad emanarla, in quanto la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica rientra nella competenza della amministrazione dell’interno, né risulta essere stata emanata sulla base di una richiesta, in tale senso, dell’autorità di p.s.
8. Infine, non può tacersi l’illegittimità della gravata ordinanza, oltre che per il vizio di incompetenza, per eccesso di potere in quanto fondata su di una motivazione del tutto carente richiamante la mera notizia, appresa dagli organi di stampa, che il titolare della licenza commerciale è stato tratto in arresto.
Circostanza quest’ultima, giova ancora precisare, non suscettibile di per sé di ritenere venuti meno gli stessi requisiti di ordine morale richiesti per l’esercizio delle attività commerciali ex art. 71, d. lgs. n. 59/2010, ai sensi del quale:
“1. Non possono esercitare l’attività commerciale di vendita e di somministrazione:
a) coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, salvo che abbiano ottenuto la riabilitazione;
b) coloro che hanno riportato una condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo, per il quale è prevista una pena detentiva non inferiore nel minimo a tre anni, sempre che sia stata applicata, in concreto, una pena superiore al minimo edittale;
c) coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna a pena detentiva per uno dei delitti di cui al libro II, Titolo VIII, capo II del codice penale, ovvero per ricettazione, riciclaggio, insolvenza fraudolenta, bancarotta fraudolenta, usura, rapina, delitti contro la persona commessi con violenza, estorsione;
d) coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna per reati contro l’igiene e la sanità pubblica, compresi i delitti di cui al libro II, Titolo VI, capo II del codice penale;
e) coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, due o più condanne, nel quinquennio precedente all’inizio dell’esercizio dell’attività, per delitti di frode nella preparazione e nel commercio degli alimenti previsti da leggi speciali;
f) coloro che sono sottoposti a una delle misure di prevenzione di cui alla l. 27 dicembre 1956, n. 1423, o nei cui confronti sia stata applicata una delle misure previste dalla l. 31 maggio 1965, n. 575, ovvero a misure di sicurezza;
2. Non possono esercitare l’attività di somministrazione di alimenti e bevande coloro che si trovano nelle condizioni di cui al comma 1, o hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna per reati contro la moralità pubblica e il buon costume, per delitti commessi in stato di ubriachezza o in stato di intossicazione da stupefacenti; per reati concernenti la prevenzione dell’alcolismo, le sostanze stupefacenti o psicotrope, il gioco d’azzardo, le scommesse clandestine, nonché per reati relativi ad infrazioni alle norme sui giochi.”
L’odierno ricorrente, al momento, non risulta versare in alcune delle condizioni sopra riferite, in quanto l’unico elemento fattuale risultante agli atti e dal gravato provvedimento è unicamente la sua sottoposizione alla misura cautelare degli arresti domiciliari.
9. Per tutte le ragioni sopra esposte il ricorso merita accoglimento con conseguente annullamento dell’impugnato provvedimento».
Daniele Majori – Avvocato Amministrativista in Roma
Fonte:www.giustizia-amministrativa.it
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