(Tar Trentino Alto Adige, Trento, 12 ottobre 2011, n. 248)
«[O]ccorre ricordare che l’art. 192 del d. lgs. n. 152 citato sancisce il “divieto di abbandono” e di deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e “nel” suolo, nonché l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere ed in qualsiasi stato nelle acque superficiali e sotterranee.
La violazione dei predetti divieti da parte di “chiunque” comporta l’obbligo di “procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo”.
9 – La norma (sostanzialmente ripetitiva dell’art. 14 del c.d. Decreto legislativo Ronchi n. 22/1997, con l’aggiunta di garanzie istruttorie e procedimentali) individua, pertanto, tre categorie di soggetti responsabili, in solido tra loro, dell’illecito abbandono o deposito di rifiuti: l’autore materiale dell’illecito stesso, nonché, qualora esso non coincida con il proprietario o titolare di altri diritti reali o personali di godimento (ovvero anche possessore in via di fatto, evidentemente), anche queste due categorie, da individuare secondo i noti parametri civilistici (artt. 832, 957 – 1099, 1140 e seg. cod. civ.).
In modo parzialmente diverso dispone l’articolo 90 del D.P.G.P. 26-1-1987, n. 1-41/Legisl, recante il testo unico delle leggi della Provincia di Trento in materia di tutela dell’ambiente dagli inquinamenti.
La norma provinciale, anch’essa riferita al divieto di abbandono dei rifiuti, dispone che “Chiunque detenga rifiuti è tenuto a smaltirli” , aggiungendo, al comma 2, che “Fatta salva la disciplina degli scarichi…, è vietato abbandonare, scaricare o depositare rifiuti di qualsiasi genere, solido o liquidi, su aree pubbliche o private, nonché nei corpi d’acqua, naturali o artificiali, negli stagni e nelle zone umide. Resta fermo quanto disposto dall’articolo 7 della legge provinciale 8 luglio 1976, n. 18 e successive modificazioni e dalle altre norme in vigore concernenti la tutela del demanio idrico”, ricollegando alla violazione del predetto divieto il potere sindacale di intimazione a “provvedere al trasporto dei rifiuti nei luoghi di raccolta o di trattamento o di stoccaggio” e prevedendo che in caso di mancato assolvimento da parte del destinatario dell’ordine “il Sindaco provvede d’ufficio, nei modi e termini di legge”, con obbligo di rivalsa verso lo stesso destinatario.
Dalle previsioni legislative scaturiscono una serie di conseguenze di ordine interpretativo ed applicativo.
Sul piano dei soggetti responsabili non ci sono particolari problemi ermeneutici: proprietari, titolari di diritti reali limitati o diritti di obbligazione (detentori) ovvero, ancora, possessori. Anche se la norma provinciale, letteralmente discostandosi da quella nazionale, sembra riferirsi solo al “detentore” essa, per essere compatibile con i principi di valenza costituzionale e comunitaria in materia di rifiuti (su cui si tornerà in prosieguo) , deve raccordarsi con le disposizioni del comma 2, il quale fa divieto di abbandono a chiunque ne sia ritenuto responsabile, sia in senso commissivo che omissivo.
10 – Sul piano dell’elemento psicologico dell’illecito ambientale, esso consiste in un atteggiamento di volontà dell’effetto oppure di negligenza, imprudenza, imperizia od inosservanza di regole eteronome (art. 43 c.p.): sicché, ad esempio, in caso di riversamento ripetuto di rifiuti su un sito da parte di terzi ignoti, il proprietario o comunque il titolare di altro diritto o in uso di fatto del terreno non può essere chiamato tout court a rispondere della fattispecie di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti sulla propria area, se non viene individuato a suo carico, almeno sul piano probatorio delle presunzioni ex art. 2727 cod. civ., l’elemento soggettivo del dolo o della colpa. Ove manchi quello, lo stesso soggetto non può essere destinatario di ordinanza sindacale di rimozione e rimessione in pristino.
In altri termini, l’ordine di smaltimento di rifiuti non può essere indiscriminatamente ed automaticamente rivolto al proprietario in quanto tale, o, comunque, al soggetto che abbia la disponibilità, anche in via di fatto, dell’ area interessata: ciò in ragione della considerazione che la responsabilità del proprietario o del possessore o del detentore sorge esclusivamente in quanto gli stessi possano ritenersi obbligati in relazione ad un atteggiamento volitivo ritenuto motivatamente e verosimilmente doloso o colposo. Siffatto obbligo non può che essere desunto da un comportamento, anche omissivo, di corresponsabilità con l’ autore dell’ abbandono illecito di rifiuti.
11 – Di qui, la conseguenza che il detto ordine di rimozione presuppone l’accertamento, almeno sul piano presuntivo, della responsabilità da illecito in capo al destinatario, dovendosi escludere la sussistenza dell’obbligo di smaltimento a carico del proprietario incolpevole,o, quantomeno, del quale l’amministrazione vigilante non abbia fornito prova o almeno plausibile e logica deduzione, attraverso adeguata istruttoria e motivazione, di una colpevole trascuratezza nella gestione e custodia del terreno di cui si abbia, per i titoli ricordati sopra, la giuridica o materiale disponibilità.
E’ a questi principi che si è attenuta l’ordinanza di accoglimento della domanda cautelare emessa da questo stesso Tribunale.
Tuttavia, i riportati orientamenti, pur esatti in via astratta, non sono adattabili al caso di specie, perciò rivelandosi infondati, ad una più approfondita considerazione dei dati di fatto e di diritto emersi in corso di causa, tutti i motivi di ricorso.
12 – Preliminarmente, va sgombrato il campo dai profili di contraddittorietà ed illogicità riferiti alla precedente ordinanza dello stesso comune di Borgo del 29-4-2009, meglio specificata in punto di fatto.
L’inidoneità di quel provvedimento a costituire parametro di logicità e coerenza della successiva azione amministrativa sta in due circostanze dirimenti: essere, anzitutto quell’ordinanza palesemente errata e perciò inidonea a costituire valido parametro di valutazione della coerenza dell’azione amministrativa; erronea per i dati identificativi dei soggetti titolari del terreno e dei relativi dati catastali ( viene indicata la p.lla 2051/1 e non la p.lla 2051/2) e appunto per questo fatta oggetto di successivo auto annullamento da parte del comune, avendo esso mal applicato, nella fattispecie concreta, anche la norma di cui all’art. 183, comma 1, lett. h) del ricordato codice ambientale n. 152. Tale norma (con definizione non proprio corretta sul piano dei concetti civilistici) identifica il «detentore» con il produttore dei rifiuti ovvero la persona fisica o giuridica che ne è in possesso.
La seconda ragione sta nell’essere stata, quella stessa ordinanza, emanata nell’esercizio del potere di cui all’articolo 244 del d. lgs. n. 152, avente distinti presupposti, diverse finalità e diversi destinatari rispetto al potere ordinatorio previsto dal citato articolo 192 dello stesso decreto n. 152. Quest’ultimo, infatti, distingue, agli artt. 177 e seguenti, due separati, campi di applicazione, seppur teleologicamente connessi alla tutela dei valori costituzionali della salute e dell’ambiente: quello della gestione dei rifiuti e quello della bonifica dei siti inquinati.
13 – Tutto ciò chiarito in via preliminare, ritiene il Collegio che l’Associazione ricorrente avesse tutte le caratteristiche per essere tenuta responsabile del deposito illegittimo dei rifiuti costituiti dalle tre cisterne interrate e cioè:
A – il titolo giuridico della proprietà dell’area;
B – l’atteggiamento negligentemente disinteressato della sorte di quei rifiuti, della cui esistenza e della cui successiva dismissione da parte dei vari conduttori via via succedutisi nella detenzione dell’immobile non è dato dubitare.
Quanto alla conoscenza dei serbatoi sin dal 1967-1968 già si è ampiamente detto.
Quanto alla conoscenza della cessazione dell’utilizzo degli stessi alla fine dell’anno 2000, anche questa, secondo quanto già ampiamente esposto sopra, deve ritenersi provata, da un lato con il precedente momento conoscitivo e dall’altro da quello susseguente circa la modificazione dell’oggetto della locazione, originariamente costituito dal deposito di carburanti per uso agricolo, non più indicato, come detto, nei contratti successivi all’anno 2000. Il tutto, accompagnato dalla giuridica possibilità di imporre ai conduttori-detentori autori dell’installazione delle cisterne la loro rimozione, secondo le regole civilistiche sulla locazione, come applicate dalla giurisprudenza ordinaria di legittimità.
Infatti, al diritto del conduttore di asportare le addizioni separabili senza nocumento della cosa locata (art. 1593 cod. civ.) corrisponde quello del locatore di pretenderne la rimozione, senza che possa essergli opposto che egli ha prestato il consenso all’esecuzione delle addizioni in costanza di rapporto (Cass. 19.6.1971, n. 189).
Così, pure, è legittimo il rifiuto del locatore ai sensi degli artt. 1176 e 1218 c.c., di accettare la restituzione della cosa locata fino a quando il conduttore non l’abbia rimessa in pristino stato, rendendosi inadempiente all’obbligazione di cui all’art. 1590 c.c.(Cass., 20 marzo 2006, n. 6094; Cass. 30.8.1995, n. 9207).
14 – In definitiva, il proprietario dell’area che, consapevole dell’esistenza, sul (o nel) suo terreno dato, come nella specie, in locazione di oggetti o materiali abbandonati dal conduttore e perciò qualificabili come rifiuti ha gli strumenti giuridici per poter chiedere alla controparte di provvedere a sua cura e spese alla rimozione, secondo le procedure di legge, di quegli stessi rifiuti e ove non utilizzi quegli strumenti deve ritenersi responsabile, in solido con il proprio conduttore, dell’illecito abbandono».
Daniele Majori – Avvocato Amministrativista in Roma
Fonte:www.giustizia-amministrativa.it
Molto interessante!